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Non c'è più musica (e l'Europa scompare)

L'analisi del match contro il Genoa

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Mancano otto punti alla salvezza. Non aritmetica, ma quasi. Ed è chiaro che ad oggi, con la bocca ancora al sapore di caviale, non è facile abituarsi al pane e acqua. Ma forse è proprio tornando a mangiare la farina che si capisce il valore delle uova di storione. È stata una settimana di training autogeno, quello in cui la piazza si è ripetuta mentalmente che tre punti dopo tre gare c'erano anche all'andata. Non era la stessa cosa, e lo si sapeva: questione di venti in faccia o alle spalle.

E oggi il Cagliari combatte a testa bassa contro dieci monsoni. Quella spinta di Olsen verso Lapadula, a posteriori, è sembrata l'allegoria di un Cagliari che si stava scrollando di dosso l'immagine vincente di sé stesso più che un avversario (non ancora) sconfitto. Da quella zuffa leccese il Cagliari ha scordato la vittoria, e laddove era pianura è stato solo sabbia mobile. Si è trincerato dietro a quel sesto posto che sembrava non potesse lasciare più la Sardegna, col camuffamento di inseguitrici che arrancavano. Così i rossoblù hanno pensato di poter aspettare lo tsunami a riva, riparandosi con l'ombrellone, tanto l'onda era lontana. Ieri, col gollonzo di Pandev, è arrivata l'anomala.

Il Cagliari ha provato a reagire puntando più sulla memoria dei tempi passati che sulle idee vere e proprie. Com'è che si faceva? Palla dentro e segna Joao? Non stavolta. Sfera a Nainggolan e scansiamoci? Il fatto è che, ad oggi, i sardi non sono altro. E queste due armi, per quanto efficaci, non sono abbastanza. Dare uno sguardo al Verona per credere: nessun solista, un coro da Ariston, a proposito della settimana appena conclusa. La migliore per tornare a suonare, la peggiore le restare in silenzio a guardare, a non reagire, a vedersi passare sulla destra e sulla sinistra.

 Fai rumore, ha cantato Diodato. Almeno fosse.

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