Non mi piace il linguaggio edulcorato, ma amo chiamare le cose con il loro nome. Chi pretende di addolcire l’amarezza dei tifosi sostenendo che la retrocessione del Cagliari non sia un dramma è un imbonitore.
Per tutti coloro che seguono con passione disinteressata le sorti dei rossoblu, la retrocessione non solo è un fatto molto doloroso, ma è gravissimo che questa stagione sia stata gestita in modo così scriteriato dalla società e dallo staff tecnico.
Il Cagliari del falso profeta Zeman (ormai ex tecnico rossoblù) rischia di battere tutti i record negativi in termini di sconfitte subite, di reti incassate, di umiliazioni inflitte dagli avversari al S.Elia, il famoso fortino inespugnabile dei proclami presidenziali di inizio stagione.
Già , la scorsa estate, giorni di trepidante attesa e di innocente ed ingenuo entusiasmo, ormai ricordo sbiadito di momenti lontani. Il calcio è una cosa molto seria, soprattutto ai massimi livelli, perché incide sugli umori, sulla passione e, perché no, sulle tasche di milioni di persone.
Non è affatto un gioco, come sostiene qualche pedagogo mancato, bensì uno sport; e chi fa sport ha solo un obiettivo: superare l’avversario. I fanatici dello zemanesimo sono convinti che il microcosmo calcistico del loro idolo sia l’unico possibile, un mondo fatato dove regnano spettacolo e sani valori dello sport.
Siamo di fronte ad una miscela di utopismo, fideismo, ideologia totalizzante applicata al calcio. Parliamo invece di realtà , di fatti, della dura terra. La "sedicente" rivoluzione della nuova proprietà , che avrebbe dovuto avere in Zeman il suo condottiero, ha ridotto il Cagliari ai minimi termini, rendendolo ridicolo agli occhi dell’Italia calcistica.
Farsi regolarmente umiliare dagli avversari non ha nulla a che spartire con i valori dello sport ed offende chi spende risorse psicofisiche ed economiche per seguire la propria squadra del cuore.
Il Cagliari esiste dal 1920, ha giocato 35 campionati in serie A ed ha vinto uno scudetto, meritandone almeno altri due; non abbiamo bisogno di lezioni di calcio né di etica sportiva.
Nello sport si può perdere, ci mancherebbe altro, ma, per la sua storia, il Cagliari non merita di retrocedere con così poco decoro. Non lo meritano soprattutto quei tifosi che trepidano da casa e al S.Elia, in Sardegna e in continente.
Non lo merita quella curva nord tanto diffamata che anche domenica si è sgolata fino al 95’.
Se la retrocessione è ineluttabile, avvenga almeno con dignità e chi di dovere si impegni moralmente a riportarci in serie A; solo così ci sarà comprensione e perdono da parte di una tifoseria mai così umiliata.