Il loro telefono squillò, lo schermo si illuminò e apparse un messaggio: «Facci uscire dall’Età buia». Diego López e Walter Mazzarri risposero, rispettivamente, alla chiamata del Cagliari e del Torino e raccolsero i propri manuali per dar vita al Rinascimento. Per il primo, in sella dal 22 ottobre per sostituire Massimo Rastelli, equivale alla permanenza in serie A; per il secondo, in servizio dal 6 gennaio dopo l’esonero di Sinisa Mihajlovic, si legge Europa League. La la nuova luce e la rifioritura dei rossoblù e dei granata passerà anche dall’ultimo sabato di marzo in cui, alla Sardegna Arena, i due allenatori si troveranno a pochi metri di distanza.
Lo scenario – Le amichevoli internazionali hanno smorzato due periodi differenti. Per il Cagliari è quello della risalita, in seguito al ritorno al successo a Benevento e il rafforzamento della vantaggio sulla zona-retrocessione (+5 punti). Dopo la ventesima panchina, López, rispetto al suo precedessore, ha aumentato di quasi un punto la media punti a partita (da 0,75 a 1,15) e di mezzo punto quella delle vittorie (da 0,25 a 0,3). Il Torino, invece, prosegue la discesa senza paracadute in virtù della quarta sconfitta consecutiva contro la Fiorentina e con la zona-Europa che è sempre una chimera (-14). E, dopo otto incontri, Mazzarri cammina su una strada più sinuosa del collega a cui è subentrato per la media punti (da 1,40 a 1,00) e delle vittorie (da 0,3 a 0,25).
Il 3-5-2 – Nella carriera da allenatore di entrambi c’è il 3-5-2, ma con interpretazioni diverse nella fase d’impostazione e di finalizzazione. In serie A, seppur col Torino non l’abbia messo ancora in pratica e che potrebbe riproporre nella prossima giornata, Mazzarri è il pioniere dello schieramento: fin dalla prima stagione (2004/05) alla guida della Reggina, lo scelse per «sopperire alla superiorità degli avversari». Gli aspetti che l’accomunano con López, che prima di questo giro utilizzo il modulo a Bologna e Palermo, sono il baricentro basso – ne segue un disturbo al gioco altrui dalla propria metà campo –, il margine stretto tra giocatori – permette i raddoppi di marcatura – e i compiti degli esterni – si allargano e lavorano in ambo le fasi. Per il resto, appaiono delle differenze: il toscano predilige la ricerca della profondità col lancio del centrale difensivo, la presenza nella coppia offensivo di un attaccante e uno «finto» – un trequartista – per costruire un ponte fra i due reparti e i laterali che, sul cross dalla parte opposta, s’incuneano in area; l’uruguayano, invece, delega il regista a venire in contro ai difensori e al passaggio sulle fasce, nelle quali gli esterni vanno al traversone, e la prima linea è composta da un attaccante forzuto e uno agile.
La terza sfida – Nell’estate del 2013, quando venne promosso al comando del Cagliari – nel campionao precedente, fu il vice di Ivo Pulga –, López si presentò in conferenza stampa e dichiarò che Mazzari «è il mio modello e il più bravo di tutti». E quelle parole, durante la stagione che portò all’addio in aprile del Jefe, vennero ricambiare dall’allora tecnico dell’Inter: «López m’intriga, ha dato un’identità al Cagliari». Proprio in quell’annata, i due si confrontarono: finì sempre 1-1, prima a Trieste (Icardi, Nainggolan) e poi a San Siro (Pinilla, Rolando). Però questa volta, per far sì che il Rinascimento si completi, un altro punto per uno non gioverà nessuno.