Questa, era la frase che la scorsa estate, la società Cagliari Calcio scelse per la campagna abbonamenti: “insieme, ogni maledetta domenica”.
Che si sia stati insieme, non c'è alcun dubbio. Da Venezia a Salerno (ultime due trasferte), così come dal Nord al Sud Italia, ed infine in casa. I tifosi del Cagliari, non hanno mai fatto mancare il loro sostegno.
Che ogni domenica (o quasi) sia stata maledetta, è stata anch'essa una costante di tutta la stagione dei rossoblù. A parlare sono i numeri, i dati e le statistiche. E la retrocessione in B, è solo l'epilogo di un decadimento sotto traccia da tempo, e oggi conclamato.
Gestione societaria rivedibile? Valzer di allenatori sconsiderato? Giocatori comparse? Direttori sportivi disastrosi? Promesse disattese (posto Champions e stadio nuovo)? Forse di tutto un po', come nelle ricette. Peccato che il sapore sia di un amaro indicibile.
Ma ciò che è mancato, forse più di tutte, è stata la figura del presidente.
Lucido al punto tale da complimentarsi con la Salernitana, ma annebbiato quanto basta per lasciare l'intervista post gara in preda all'isteria e dare a tutti prova di smisurato ego e poca voglia di contraddittorio.
Lui, il padrone del Cagliari, il leader di incontrastato di “una terra, un popolo, una squadra”, che sfugge al confronto e butta gli auricolari in malo modo, accusando Caressa (giornalista di Sky) di aver dato notizie non veritiere sulla presunta cessione del club.
Lui, dispensatore di buoni propositi ogni volta che presenta un allenatore nuovo, salvo poi cacciarlo con freddissimi post sul sito ufficiale, quando il “progetto” non decolla.
Lui, dalle promesse contrattuali disattese. Ad esempio con Nainggolan (col quale si sarebbe in A), dei dipendenti usati come scudo umano per le conferenze stampa quando le cose non vanno (ad esempio ds Carli e Capozucca).
Lui, dei tantissimi calciatori passati per Cagliari come meteore, pagati a peso doro, e svaniti nel nulla. Lui, degli uffici del Cagliari a Milano. Del sold out con quindicimila persone (che al sant'Elia riempivano giusto i bar tra primo e secondo tempo) e che ora viene spacciato come un'invasione di popolo.
Lui, e non solo lui, sono gli artefici del pochissimo che si vede a Cagliari a livello calcistico. Manca il feeling con la città? Forse. Disturba la sua fede conclamata per l'Inter? Probabile.
Sta di fatto che mai come oggi, tra la piazza e il presidente ci sia uno scollamento di intenti siderale. La prima, che vorrebbe la sua “testa”, il secondo che non cede, e resta ancorato sulle sue posizioni.
Resta da capire cosa sarà il futuro. Se il tempo appianerà le ferite, se Giulini farà qualche passo indietro, se verrà costruita una squadra per tornare subito in serie A.
Il presente intanto, è fatto di tanta delusione. Otto anni, due retrocessioni, e nulla di concreto di costruito. Parole, intenti, proclami. Tutto più social che mai, ma forse a caro prezzo: la poca empatia.
La quasi totale mancanza carisma nel ricoprire la carica che riveste. Non come persona, ma appunto per il ruolo che dovrebbe incarnare, i cui feedback sono costantemente disattesi.
E quando non gira da otto anni, forse il peccato più grande è perseverare nell'errore. Accettare i propri limiti (riferito al grado che si ricopre, mai alla persona), è forse il primo steap per “salire di livello”come egli stesso afferma.
Questo Cagliari invece, pare schiavo dei protagonismi personali e degli errori di un patron “che si piace tanto” ma che agli altri (calciatori compresi) lascia poco. E il giocatore lo sente.
Lo sente, quando il presidente ti carica in settimana o prima della gara. Lo capisce, se la voglia la grinta, il tifo, corrisponde col ruolo che ricopre, regalando all'ennesima potenza quella carica che solo chi è al vertice di un sodalizio può trasmettere.
Ma c'è chi, nascendo leader, gli viene naturale. E chi, nascendo gregario, deve indossare una giacca sempre appena più larga delle spalle che porta.
E forse, per Giulini è così. Il buon Tommaso (può darsi) renderebbe meglio sotto altri ruoli. Magari meno di “trasmissione di valori” e più da “office”, detto all'inglese.
Di certo, c'è che la tifoseria non dimentica e che la serie B è un campionato maledetto. O sali subito, o rischi di starci anni. Trovarsi un ruolo e darsi un minimo di quadra nel non fare gli sbagli del passato.
Per recuperare onore e dignità (calcistica) c'è sempre tempo e lo dirà il campo. Ma nell'attesa, si chieda alla piazza scusa (in conferenza stampa), e si cerchi di cambiare un registro che non paga.
Dentro le maglie servono uomini, dentro le giacche ne servono altrettanti. Il calcio funziona così.