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Il Cagliari sarà sempre dei sardi: mai degli Sconvolts

L'analisi del match contro la Sampdoria

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Non ho mai amato la nebbia. Ho sempre preferito il sole, le giornate luminose, il cielo chiaro. Vedere offuscato non è mai stato comodo. Prima d'oggi. È il primo aprile 2016 quando la sorte decide di mettere in atto il peggior scherzo possibile a Federico Melchiorri: rottura del legamento crociato anteriore e stagione finita, quella della sua consacrazione. Sono passati centosettantanove giorni da quel momento, che oggi appare avvolto dalla nebbia. Il ricordo che si sbiadisce, i fotogrammi che si scoloriscono, le diapositive che si sgualciscono. La testa avvia il reset e lascia spazio al 26 settembre 2016, il risveglio dall'incubo.

Viviano che buca l'intervento e Melchiorri che la butta dentro, senza pietà. La palla che lentamente rotola in porta, mentre ad ogni rotazione la sfortuna subisce un pugno da Federico. Quel primo aprile era salito sul ring e l'aveva incontrata come una vecchia avversaria, quella che anni prima aveva provato a sottrargli un'intera carriera con un cavernoma venoso.

Melchiorri aveva indossato i guantoni e gliele aveva date di santa ragione. Quest'anno la rivale cercava vendetta. Le ha prese di nuovo. Un gol che sa di favola, un gol che trasforma una serata. Perché sarebbe potuto essere bello raccontare di Federico e stop, ma purtroppo nelle fiabe non funziona così. Cenerentola si innamora ma a mezzanotte deve scappare, Biancaneve viene avvelenata e Hansel e Gretel per poco non finiscono cotti al forno.

E quindi accade che alla fine la fascia della discordia passi dal braccio di Storari (sì, proprio quello che aveva scelto la B col Cagliari anziché la A con la Fiorentina) a quello di Marco Sau. Non me ne voglia il numero 25 rossoblù, a cui auguro il meglio con la fascia al braccio, nella speranza che possa diventare una vera bandiera. Ma il punto è un altro.

Il punto è che quella fascia non starà più sul braccio di Storari. Il punto è che alla fine duecento persone hanno deciso per l'isola. Mi rivolgo quindi direttamente agli Sconvolts. In vent'anni siete diventati l'unico gruppo organizzato di tifosi del Cagliari. Avete colorato e animato i match dei rossoblù e conquistato il rispetto dei calciatori. Sapete però cosa mi è dispiaciuto ieri sera? Sentir dire che abbiate vinto voi. Non perché l'esito sia stato questo. Mi è dispiaciuto perché avete messo spalle al muro la vostra squadra. Mi è dispiaciuto perché avete scelto di destabilizzare l'ambiente per il vostro orgoglio. Mi è dispiaciuto vedere un uomo umiliato e costretto a dover cedere una fascia guadagnata con una carriera che gli ha fatto guadagnare il rispetto di compagni e avversari.

In quella frase, soprattutto, mi è dispiaciuto il 'VOI'. La Sardegna è sempre stata un corpo a sè. L'isola ha cementificato un sentimento di unione, senso di appartenenza, essere "noi" al di qua del Tirreno e "loro" al di là dello stesso. Il Cagliari è sempre stato il simbolo di questa unione. Ha unito tutti i sardi, di qualsiasi classe sociale. L'ha reso di tutti. E sarà sempre così.

Il Cagliari sarà sempre dei sardi, di chi vive quest'isola. E non sarà mai degli Sconvolts.

Possiamo smettere di esser tifosi, smettere di esser giornalisti e giocatori, smettere di essere dirigenti, allenatori, appassionati. Ma non smettiamo mai di essere sardi.

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