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Sensazione dejavù

L'analisi del match contro l'Ascoli

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Ti sei alzato dal divano all’improvviso, e sei andato di corsa a consultare il calendario. 9 Aprile 2016. Non ci volevi nemmeno credere, hai ricontrollato. 9 Aprile 2016. L’anno era proprio quello, bisestile, coi suoi 366 giorni conditi da Olimpiadi ed Europei, quello della rivincita di Rossi su Marquez e Lorenzo, quello dell’ultima partita in NBA di Kobe Bryant. Ma come, le sofferenze non sarebbero dovute terminare nel 2015? Tutto ad un tratto è sembrato a tutti di tornare indietro nel tempo, a Zeman-Zola-Zeman-Festa, alla Serie A, al Sant’Elia espugnato ogni domenica, alle vittorie che non arrivano, ai fischi, ai mugugni, alle polemiche, alle critiche. Ma era solo un dejavù. Sembra di aver già vissuto questi momenti, ma in realtà son del tutto nuovi. Già, perché l’anno scorso si perdeva, ma in Serie A. Ora i sardi perdono, ma in B, in un campionato che si sarebbe potuto dominare in lungo e in largo. E sarà pur vero che la promozione arriverà comunque, ma questa frase inizia quasi a diventare pericolosa.

Onor del vero ieri i sardi avrebbero fatto bene a invitare a cena Monica Bellucci, se è giusto che chi è fortunato in amore non lo è nel gioco: un legno dopo l’altro e un Lanni in versione saracinesca hanno impedito ai rossoblù di trovare quantomeno il pareggio. A ciò va aggiunto un Cacia in serata di grazia che ha mostrato tutto il contenuto del repertorio, segnando un gol sul quale la difesa è esente da colpe. Quando arrivano colpi del genere ci si può solo togliere il cappello e fare un applauso ad un giocatore che a quasi 33 anni ha raccolto dalla sua carriera molto meno di quello che probabilmente avrebbe meritato.

Come forse avrebbe meritato di più il Cagliari, ma purtroppo (o per fortuna) a calcio vince chi gonfia la rete, non chi ci va vicino.  E allora onore ad un Crotone che dopo l’ennesima vittoria è ad un passo da una promozione storica: una squadra di ferro, che ha portato a casa diversi successi sofferti, ha resistito quando tutti pensavano che si sarebbe fermato e che ha saputo ancora una volta dimostrare che il calcio non si giochi coi fatturati.  Una squadra che ha convinto quando c’era da convincere e che ha vinto quando bastava vincere, aiutata da una pressione pressoché assente e dalla consapevolezza di non avere nulla da perdere.

L’esatto contrario di quello che è successo al Cagliari, che quando vinceva non soddisfaceva perché giocava male e quando giocava bene e perdeva non soddisfaceva perché l’importante era solo vincere. Lunaticità da prima della classe, di chi è entrato in questa serie con gli occhi puntati, di chi voleva giocare a calcio mentre tutti scommettevano su quanti punti avrebbe lasciato alla concorrenza. È la triste storia del domatore che ha fatto fare la piroetta al leone e gli ha insegnato le tabelline ma ha voluto accontentare il pubblico che lo fischiava perché non metteva la testa dentro alle fauci del felino come faceva quello del circo a fianco. Il quale, non essendo abituato, chiuse la bocca. Non permettiamo che succeda anche al Cagliari. Applaudiamo il domatore. Quando avrà finito lo spettacolo, semmai, gli indicheremo il suo concorrente .

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