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Se questo è uno stadio

L'analisi del match contro l'Entella

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Parto informandovi subito che il Cagliari ieri ha vinto. Di solito non c’è bisogno di farlo, si sa. Ma stavolta è diverso, perché i commenti catastrofici che si sono susseguiti nel post partita potrebbero far pensare ad una sconfitta dei rossoblù. E invece no, altro giro, altra corsa, altra vittoria, altri tre punti.

Ci sono quelli a cui non va bene comunque perché i sardi hanno vinto solo 1-0, perché hanno faticato: insomma, o si vince passeggiando o comunque vada sarà un insuccesso. Eppure a fine campionato, quando la classifica reciterà il verdetto che assegnerà tre nuove squadre alla Serie A, non si farà l’analisi di come sia maturata quella posizione, si guarderanno i punti, chi ne avrà di più potrà festeggiare e tutto il resto sarà noia.

Poi certo, si ha ragione a non accontentarsi, perché si può sempre far meglio e perché chi si accontenta non gode mai, perché in fondo ci si può pentire di essersi accontentati ma mai del contrario. Eppure pensiamoci un attimo: era davvero così facile fare di meglio?

Tralasciando la pesante assenza di Di Gennaro (Fossati offre abbondanti garanzie), pensiamo un attimo alla squadra che ha sfidato oggi il Cagliari, perché a calcio non si gioca da soli. Ieri l’Entella è stata messa benissimo in campo, con un giocatore che andava subito ad attaccare il portatore di palla rossoblù, lasciando pochissimo fiato e pochissimi metri alla manovra dei sardi. Fossati, fulcro del gioco del Cagliari, era marcato pressoché a uomo.

I liguri si difendevano con undici uomini dietro la linea del pallone. Giocare contro squadre così non è mai semplice, vincere lo è ancora di più, dilagare è praticamente impossibile, a meno che tu in campo non abbia Neymar e Messi e allora vi do ragione, bisognava massacrare l’Entella.

Aggiungiamo a tutto questo la cornice del pubblico, col silenzio tombale dello stadio, che proprio in questi momenti duri dovrebbe essere una bolgia. Invece abbiamo sentito una ventina di bombe (ma come fanno ad entrare?) e osservato la ritirata degli Ultras intorno alla mezz’ora, dopo trenta minuti passati in silenzio. Non è questo il modo di appoggiare la squadra. Lo si fa per una misteriosa forma di sciopero? Ancora peggio.

Perché io vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa significhi sciopero del tifoso. Sarò ingenuo, ma ricordo che gli scioperi servano a ben altro. Vedo precari, disoccupati, padri di famiglia che non riescono ad arrivare a fine mese scendere in piazza a manifestare il proprio disappunto perché vogliono un lavoro, ragazzi invadere le strade per chiedere un futuro. Quello è uno sciopero. Il tifo è gioia, la domenica è una festa, che cosa c’entra un’esultanza, un coro, un gol con quella roba lì? Perché bisogna entrare allo stadio con la faccia incazzosa e con la voglia di arrabbiarsi o di protestare? Perché quando Farias ha segnato hanno esultato tutti, pure i bambini più innocenti, e proprio non riesco ad immaginarli con il volto coperto o con una bomba pronta ad esplodere. Eppure in quel momento son tifosi tanto quanto l’Ultras che sciopera. E giuro, mi sembra assurdo anche solo scriverlo. 

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