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Nelle notti di temporale nessuno avrà più paura: quei boati i tuoi sinistri dal Paradiso

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Luigi Riva da Cagliari, per tutti Gigi, per la storia Rombo di Tuono, se n’è andato. Sarebbe riduttivo ricordare i successi sportivi, le imprese calcistiche con la maglia dei quattro mori e con quella azzurra, perché uno così ha trasceso il calcio. È riuscito ad andare oltre la dimensione del gioco e dello sport, come pochissimi altri hanno fatto. È entrato nell’immaginario storico di una terra ed è stato in grado di unire una comunità, a volte divisa, che va dalla torre della Sella del Diavolo al carcere dell’Asinara. Ha saputo legare generazioni diverse, agli antipodi: è stato un filo conduttore tra genitore e figlio, nonno e nipote. 

Come disse Gianni Brera, storica penna del giornalismo italiano, lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. A rendere possibile ciò non fu però un sardo, ma un uomo del Nord, un ragazzo lombardo cresciuto a Leggiuno, sul lago Maggiore, che diventerà il simbolo di un popolo del mare. Arrivò quasi controvoglia: per il “continente” l’Isola era solo un covo di pastori e di banditi, una seconda Africa, e se questa concezione è cambiata nel tempo è anche grazie a Gigi Riva. 

Quando mise piede qui aveva diciotto anni e un passato fatto di sofferenze. A nove anni perse il padre per un incidente in fabbrica, qualche anno dopo se ne andrà anche la madre per un cancro. Quando vide la sagoma dell’Isola dal suo aereo pensò di essere tornato in collegio. Ma la Sardegna diventerà la sua nuova vita, un porto sicuro in cui rifugiarsi. Non se ne andrà mai. 

Per i sardi ha significato un riscatto sociale: da ultimi della penisola per la prima volta si vedevano rappresentati sotto una nuova luce. Quella del fuoriclasse della domenica, dotato di un sinistro leggendario, e dell’uomo schivo e di poche parole, ma che si sposerà alla perfezione con i suoi nuovi vicini. Il matrimonio con il Cagliari resisterà anche alle telefonate della Juventus: Boniperti avrebbe fatto carte false per portarlo a Torino, ma più la Vecchia Signora alzava l’offerta più Gigi, con cortesia, la declinava. L’avrebbero ricoperto d’oro. 

Un voto di fede che oggi non esiste più, e che proprio per questo ha reso epica la sua figura. Il suo voler vivere la Sardegna, nel suo cuore, nella sua natura selvatica, lo trasformerà in sardo a tutti gli effetti. “La Costa Smeralda non fa per me, ci sono andato solo una volta ed era inverno” è una sua frase che lo descrive meglio di tante iperboli. Preferiva salire sopra qualche peschereccio sul Golfo di Cagliari o visitare la casa di qualche pastore in Barbagia, respirare a pieni polmoni l’aria del Poetto e passeggiare come un turista per caso. 

Ha reso grande la Sardegna quando neanche i sardi credevano nella loro terra, ha riacceso l’orgoglio di un popolo dimenticato: con lui l’Isola è diventata quella del tesoro e Gigi Riva e i suoi compagni erano i pirati che saccheggiavano le squadre che sbarcavano nel porto di Cagliari. Lo paragoneranno agli eroi greci, lo assoceranno al dio del tuono, faranno più di un murales in suo onore. L’ultimo è quello dell’Amsicora, il tempio dello scudetto del ’70. Ora resta solo uno stadio da dedicargli. 

Al di là dei titoli, il ricordo più grande che gli si potrebbe fare è quello di non dimenticare mai quello che ha rappresentato per i sardi. Anche per chi non l’ha vissuto. Quando ci sarà un temporale si dirà che è lui che sta calciando un pallone in mezzo alle nuvole, e allora la paura sparirà. 

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