Lo chiamano dejavu: è la sensazione di aver già vissuto un evento, pur non essendosi mai verificato nella realtà dei fatti. Il Cagliari non è mai stato ciò che Di Francesco aveva pensato, e nemmeno ciò che i tifosi credevano stesse nascendo quando Augello prendeva la via degli spogliatoi in quel famigerato 7 novembre. Eppure i rossoblù sembrano alla fine della corsa, lontani da ciò che erano o che avevano creduto di poter essere pur non essendolo mai stati. Dejavu, dicevamo.
Come avere l'impressione di avere già vissuto cinque sconfitte consecutive o due mesi e mezzo senza vittorie. Quello sì, già vissuto per davvero, davanti allo sguardo incredulo di un Maran che vedeva il suo giocattolo sgretolarsi giornata dopo giornata.
Le chansons de Roland si era conclusa con Zenga al fianco di Giulini, e col patron ad ammettere urbe et orbi il suo rammarico per non aver cambiato allenatore con qualche settimana di anticipo. Ora, tra le righe di questo editoriale, non più tardi di una settimana fa, si spiegava come l'esonero di Di Francesco potesse tradursi in un contorto controsenso.
Eppure, stando alle parole primaverili del presidente rossoblù, il cambio in panchina potrebbe essere dietro l'angolo, o quantomeno dovrebbe esserlo facendo due più due, visto che il rendimento dell'attuale guida tecnica non si discosta più di tanto da quello del Maran fulminato "in ritardo".
Così dovesse andare, il Cagliari si ritroverebbe in mano mezzo Guernica da assegnare a un alter ego di Picasso. Non che Di Francesco si stia distinguendo - o si sia distinto - per chissà quale capolavoro artistico, ma questo affresco (sbavato dagli eventi) chiamato Cagliari, porta inevitabilmente la sua impronta. Innanzitutto, e sembrerà assurdo, questa è una squadra costruita attorno ad un unico, solidissimo e smentitissimo concetto: il 4-3-3. Unico dettaglio, non ininfluente: il giocatore chiave dei sardi, quel Joao Pedro spesso profeta nell'isola deserta di chissà quale vangelo, è uno dei giocatori meno adatti al 4-3-3 che siano mai stati concepiti. Una contraddizione abnorme, che Di Francesco ha tentato di colmare all'inizio scalpellando l'ala sinistra nel suo DNA (senza successo, per quanto ci si sforzi di sostenere il contrario), poi cercando di abbandonare il credo dichiarato per passare al modello ibrido del 4-2-3-1. Ma la netta sensazione è che si sia sempre trattato di un piano B, non certamente la prima scelta di un allenatore che, anche nelle richieste in sede di mercato, dimostra di avere ancora in testa un centrocampo con tre interpreti.
Ieri la prova inconfutabile con Di Francesco che, non ha appena ha avuto a disposizione mezzo Duncan in più, ha proposto un 4-3-2-1 con Marin impiegato da mezzala (non male) per levare qualche chilometro a un Nainggolan ancora evidentemente indietro nei giri.
L'impressione è che le sfide contro Atalanta e Milan fossero un bonus gentilmente concesso dalla dirigenza, un ponte tibetano sino all'ultima spiaggia del tecnico: Genoa-Cagliari. Sarà interessante vedere se DiFra si giocherà la vita col “suo” 4-3-3, con la variante dell'albero di natale, con l'ibrido del 4-2-3-1 o con la difesa a tre. Comunque vada, ci sarà disordine da riordinare.