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Un sogno, non un'ossessione

L'analisi del match contro il Verona

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Se è vera la retorica della vittoria ad ogni costo, se la fazione del risultatismo prevale su quella del giochismo, figuriamoci se il concetto non vale per una gara ad eliminazione diretta. E allora ben venga una vittoria strappata nel recupero, con un gol sporco su una palla sporca, dopo un tempo di sofferenza e affanno, appena dopo aver rischiato la beffa pre-overtime.

Del resto la Coppa Italia, per quanto ancora affascini il dentro-fuori, resta un sogno (o un obiettivo, per i più ambiziosi) da cullare – why not – senza ossessioni, di quelli da tenere lì, poggiati sulla mensola, controllati con la coda dell'occhio. E il sogno resta lì, tenuto a galla dal furore agonistico di Sottil – e qui bisogna ribadire il concetto, il Cagliari ne sta diventando quasi dipendente – ma soprattutto dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci di Guglielmo Vicario, ieri con pochissimo a che fare con il mondo delle riserve.

Qui bisogna aprire un capitolo a parte: esistono i portieri da one-day-wonder, certo che esistono. Ma Vicario non è uno di loro: lo show mandato in scena dall'ex Perugia ieri va analizzato e studiato, tra interventi assolutamente non banali che (a maggior ragione perché bissanti un'altra super prestazione con la Cremonese) iniziano a far sorgere il dolcissimo sospetto che questo sia un portiere clamoroso, forse già in grado di raccogliere la pesante eredità di Alessio Cragno. La partenza dell'attuale estremo difensore titolare in estate non è da escludere – del resto come ogni anno – ma con un piano B di questo livello forse il Cagliari incasserebbe l'assegno con un sorriso in più. 

Per ora c'è che Vicario non ha fatto rimpiangere Cragno, che Cerri non ha fatto rimpiangere Pavoletti e che quest'ultimo – homo faber fortunae suae – non dovrà nemmeno far pronunciare la parola Cholito. Toccherà al 30 prendere lo scettro di Simeone e riconquistare quella maglia e l'isola intera. Ci è riuscito una volta, perché non dovrebbe riuscirci una seconda?

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