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Non è più domenica

Il calcio si ferma, ma tornerà

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Joao Pedro a braccia conserte sotto la sud, un mezzo sorriso e un sogno con le crepe. E adesso che si fa? Abbracciatevi ora, perché non ci sarà più tempo. Gridate ora, perché non vi sentirà più nessuno. E balzate dal vostro posto numerato, perché calerà il silenzio sullo stadio. 
È la prima domenica nel surreale silenzio del calcio ridicolizzato, messo a nudo e poi colpito dal Covid19. Il virus ha sedotto il mondo del pallone, gli ha fatto credere di poter essere immune, di poter continuare a cantare anche a cappella. 

Ma ora l'assolo non può più continuare. Stavolta è tempo di tregua, forse di rese senza condizioni. Il calcio è la cosa più importante tra le cose meno importanti, si sa; certo non è facile realizzarlo quando Calderoni pareggia all'ultimo minuto. Non è facile capire che esista altro quando si solleva la lavagna luminosa con sette minuti di recupero. Quando Castro segna al San Paolo ti sembra che quella sia la definizione di felicità. 
Poi arriva lui. 
Gli stadi si svuotano. Le persone scappano. Ci dicono di non uscire di casa e storci il naso se vedi una stretta di mano. Lo chiamano Coronavirus. 

Torneremo ad abbracciarci. A battere i piedi tanto forte da buttar giù lo stadio. Ad affollare le curve. A stare vicini. A togliersi le maschere e mettere le sciarpe. 

E Joao Pedro tornerà a segnare.

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