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Quel giorno con la Lazio, un mese fa...

L'analisi del match contro il Milan

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Pensare che, se un mese fa Luis Alberto avesse ciccato quel pallone, il Cagliari non avrebbe assistito all’ultimo capitolo del vangelo secondo Ibra forse è da ingenui, ma descrive in modo realistico lo stato delle cose.

Quel giorno qualcosa si è inceppato. I rossoblù si sono asciugati dall’acqua santa e hanno capito di essere umani, hanno realizzato che se per loro sembrava l’anno buono per qualcuno lo era ancora di più. Così hanno pasticciato, hanno indossato la maschera di Mecenate e si son circondati d’arte. Hanno viaggiato dalle pennellate di Luis Alberto all’affresco di De Paul. Hanno appeso alle pareti un trittico del Ronaldo e riconsegnato lo scalpello allo scultore svedese, quello che di lasciare al Milan un non finito proprio non ha nessuna intenzione.  Sempre da spettatori al museo.

Il Cagliari ha provato a fare la partita nei primi 45’, prendendo il controllo delle operazioni ed impostando una gara piuttosto coraggiosa. Pisacane lavorava d’anticipo su Ibrahimovic, tappando la soluzione tattica attorno a cui, verosimilmente, verteva tutto il piano gara impostato da Pioli. E in effetti anche Leao, durante la prima frazione, correva spaesato per il campo, in attesa che Zlatan si illuminasse per farlo brillare di luce riflessa. Così i rossoneri hanno passato il primo tempo a seguire la moda stagionale di casa Milan: tutti schiacciati in fase di non possesso, palla a Theo Hernandez e speriamo combini qualcosa in fase di possesso. Pochino.

I rossoblù lavoricchiavano, cercando di replicare il canovaccio dello Stadium, ma a parti invertite: tanto possesso, giro palla e corsa a vuoto degli avversari sino all’errorino da punire. Il nodo cruciale stava però nella qualità del possesso palla, troppo stagnante a centrocampo e quasi mai in grado di coinvolgere Joao Pedro e Simeone, che trotterellavano in mezzo all’area in attesa del buco del Musacchio di turno (mai arrivato). La soluzione più efficace arrivava dai (bei) cross di Pellegrini, che ha bombardato l’area di rigore con continuità. Il fatto è che Pavoletti non c’era mica, e per quanto Joao si sforzi di imitarlo non sarà mai e poi mai la stessa cosa. Lanciando il periodo ipotetico dell’assurdo, se ci fosse stato in campo il numero 30 oggi il Cagliari avrebbe vinto: palla a terra i sardi non imbucavano mai, mentre andavano al traversone col sigaro in bocca. Qualcuno ha portato avanti per mesi la filastrocca di una squadra che giocava bene grazie all’assenza di Pavoloso, eppure la banda Maran non ha mai cambiato DNA, e continua ad avere nel cross dalla trequarti la sua arma più efficace.

Nel secondo tempo i sardi son spariti dal campo dopo il gol, peraltro abbastanza casuale. Hanno reagito mostrando i denti, rabbiosamente, buttandola sulla zuffa a centrocampo ma finendo per fare il gioco del Milan. La partita si è innervosita, si è spezzettata e il Cagliari ha iniziato a far caos a centrocampo, dove in alcuni frangenti di gara Nandez, Nainggolan e Rog stavano in cinque metri. Non è un caso che Maran abbia provato a scompigliare le carte cambiando volto al centrocampo. Altre volte era andata bene, stavolta no.D’altronde non si può sempre vincere.

E non si potrà nemmeno sempre perdere.

Caro Michelangelo, caro Ibra, il non finito non piace nemmeno al Cagliari.

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