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Mai così umani, mai così vicini a cadere: Cagliari, la stagione degli uno su dieci

L'analisi del match contro il Genoa

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È la stagione dell’uno su dieci. Perché se la Kolarov ribatte altre nove volte quella punizione la palla nove volte non riavrà quella carambola che permetterà a Fazio di depositare in rete. Perché se Immobile riprova nove volte quel colpo di tacco nove volte farà una figuraccia. Perché se Medeiros ritenta nove volte quel tiraccio della domenica nove volte calcia in tribuna. Non quella volta, non questa volta. Sarà che non si trattava nemmeno della settimana giusta per dire che non fosse sempre Pasqua, sarà che quest’anno (non inganni Benevento) non è una stagione fortunata, alla fine la sventola alla cieca del genoano si insacca e fa notare al Cagliari che la salvezza non è più (ammesso che lo sia mai stata) la passeggiata che poteva sembrare.

Dopo un primo tempo in cui i sardi sembravano ancora in fase di ripresa dai bagordi di Pasquetta, è Gianluca Lapadula a sfruttare la clamorosa dormita della retroguardia rossoblù per staccare nell’eremo dell’area piccola dei sardi e battere Cragno. Un gol che non fa altro che palesare gli evidenti limiti difensivi del Cagliari, troppo statici in fase di marcatura, troppo poco attenti, troppo dipendenti dal leader del pacchetto arretrato Castan, entrato solo in seguito.

Ma se là dietro comanda il brasiliano, dalla cintola in su è tutto feudo del signore con la 18. Oggi, ma soprattutto per domani, mi viene difficile pensare ad un Cagliari senza Barella, che settimana dopo settimana sta diventando sempre di più l’ago della bilancia di una squadra che oscilla tra la furia agonistica e l’assenza dal campo a seconda della vena del talento rossoblù. I sardi non possono più fare a meno di questo ragazzo, che sta alzando ad ogni partita l’asticella sino a diventare uno dei centrocampisti più forti dell’intero campionato. Strappi, recuperi, dribbiling, sventagliate di quaranta metri e rigori calciati con le mani. Nicolò Barella è il fuoriclasse attorno a cui costruire la squadra. Il problema, ora, è che la squadra non c’è.

Ionita è l’ombra del giocatore che è stato (e che probabilmente è), Lykogiannis è un vorrei ma non posso, Dessena ha già dato. Pavoletti è quel classico giocatore che sembra un fenomeno in una squadra che gira e decisamente meno in una squadra che dipende dalle sue invenzioni (che non ha e non avrà mai). E poi c’è Sau. Chi lo ha amato ci spera ancora, ma ormai il tempo passa e il dubbio che più che credere in lui si creda in ciò che era cresce.

Troppe incertezze per una squadra che si sarebbe dovuta salvare agevolmente. Perché quando spendi 12 milioni per un centravanti non puoi rischiare sino all’ultima giornata di retrocedere. E il Cagliari rischia. Perché nel giorno in cui Ronaldo comunicò al mondo la sua natura extraterrestre, mai i sardi sembrarono così umani, così pronti a sbagliare, così tanto vicini a cadere.

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