Dal 1985 al 1990 ha vestito la maglia del Cagliari lasciando impronte e ricordi indelebili tra i tifosi rossoblù, scrivendo pagine importanti nella storia del club.
Lucio Bernardini, classe 1960 natìo di Città di Castello, ha vestito la maglia dei 4 mori per ben 167 volte, realizzando 16 reti. Forte fisicamente, dotato di una grande tecnica, ottimo rigorista ed instancabile lottatore.
Un caposaldo del Cagliari di Ranieri, di quella squadra che in due stagioni passò dall’inferno della Serie C (e del quasi fallimento), alla conquista della Serie A.
“Lucio”, ancora oggi tutti lo chiamano e lo ricordano semplicemente così, ne era il Capitano, un simbolo, colui che “scodellava” il pallone per le magiche punizioni di Cappioli.
Lui, bravissimo sui traversoni da palla da fermo, rigorista spietato e grande trascinatore. La sua bandiera fu “ammainata” soltanto in favore di Gianfranco Matteoli. Insomma, per spodestare (dal campo, non certo dal cuore dei tifosi) il grande Lucio Bernardini ci volle un campionissimo.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, sapere di cosa si occupa oggi, i suoi ricordi di quei cinque anni sulle rive del Golfo degli Angeli, e tanto altro.
Ciao Lucio, anzitutto come stai e, per i tifosi che non lo sanno, cosa fai nella vita?
Io sto bene, con qualche anno in più sulle spalle, ma bene. Attualmente lavoro nell’azienda di famiglia, che si occupa di vendita e assistenza auto.
A Cagliari dal 1985 al 1990: hai attraversato i momenti più bui del Cagliari trovando riscatto nella magica cavalcata dalla C alla A nella squadra che fu di Ranieri. Che ricordi hai di quel periodo, peraltro arricchito da ben 167 presenze, 16 gol e la fascia di Capitano?
I ricordi sono sempre presenti e incancellabili. Ho vissuto dei momenti magici, sia come atleta che come uomo, in una città meravigliosa, che mi ha sempre dimostrato un affetto inconsueto. Al mio arrivo ero l’ultimo della compagnia ma sono riuscito, grazie anche all’ambiente, a fare un percorso di crescita importante. Ho raccolto successi importantissimi e, da capitano, ero orgoglioso del nostro gruppo: eravamo una squadra unita e pronta a tutto pur di difendere al meglio i colori rossoblù, amati da migliaia di persone. Non scorderò mai l’arrivo da Pisa in piena notte, il giorno in cui abbiamo vinto il campionato: c’era un mare di persone ad attenderci all’aeroporto e abbiamo fatto un corteo enorme per festeggiare tutti insieme.
Fuori dal campo nella tua avventura a Cagliari: la città, i cagliaritani, e i sardi ancora oggi ti ricordano con grande affetto e gratitudine
Amici e conoscenti mi raccontano che, tutte le volte che si trovano in Sardegna o si incontrano con delle persone di Cagliari, quando dicono che sono di Città di Castello, si sentono sempre chiedere: “ma tu conosci il nostro capitano Lucio Bernardini”? Gli attestati di stima che ricevo mi danno la misura, anche dopo tanti anni, dell’affetto della gente e mi rendono orgoglioso perché, forse, ho lasciato una traccia positiva della mia permanenza a Cagliari.
Il Cagliari di Rastelli. Un tuo giudizio
Credo sia un’ottima squadra, costruita con giocatori importanti, con l’obiettivo di vincere. Mi sembra che la strada sia quella giusta.
Le fantastiche punizioni: tu scodellavi per Cappioli che a sua volta faceva partire la bomba. Come nacque quello schema?
All’inizio è nato tutto in allenamento, per divertimento. Ma poi quei movimenti hanno iniziato a venire così naturali ed efficaci che ci hanno portato diversi gol importanti.
Claudio Ranieri e la famiglia Orrù: un binomio straordinario, con Longo direttore sportivo. Il tuo pensiero in merito
Gli Orrù erano una famiglia patriarcale molto unita, che è riuscita, anche con i risultati, a riportare un grande amore intorno alla squadra, che è tornata ad essere la “squadra del cuore”. Longo era un direttore sportivo arguto, capace di prendere ragazzi giovani in gamba e anche di riorganizzare in parte la società. Ranieri era un allenatore alle prime esperienze ma con tanto carisma e determinazione. Era bravissimo nel trasmettere il suo messaggio alla squadra e a farla rendere sempre al meglio. Forse mi sarei aspettato una certa riconoscenza e considerazione alla fine del campionato che ci ha riportato in serie A. Ma il calcio e la vita vanno così.
Ti senti ancora con qualche compagno di squadra?
Sì, in particolare con Pulga e Piras.
Ti capita di venire a Cagliari?
Purtroppo raramente. L’ultima volta, invitato da Piras, sono venuto per giocare una partita in onore di Dore. È stato un momento emozionante di per sé, ma anche perchè ho potuto incontrare tanti ex compagni e amici. Sono felice di essere venuto e spero di tornarci più spesso, perché è sempre un piacere. Poi avrei un desiderio: poter fare il giro della Sardegna in moto da solo per assaporare e apprezzare le meraviglie di una terra in cui ho lasciato il cuore.
Dopo la promozione in A il club puntò su Matteoli: solo un grande come lui poteva "ammainare" la tua bandiera
Onore a Matteoli, una persona per bene e un atleta importante ma, forse, avrei potuto tranquillamente giocare con lui e formare un ottimo reparto, anche perché forse non ero neanche io così male. Non aver potuto giocare la serie A con il Cagliari, che avevo contribuito a portare nella massima serie e a cui ho dato tutto me stesso, è stato insieme un’amarezza e un rammarico che mi hanno fatto male e che mi porto ancora dentro. Peccato!
Un saluto ai tifosi del Cagliari
Grazie. Per tutto quello che mi avete dato e per l’affetto e la stima che mi avete voluto riconoscere, spero di avervi rappresentato e di aver onorato a maglia che indossavo. Siete sempre nel mio cuore e vi auguro la salute e i successi che meritate, sempre e comunque.
Forza Cagliari! Un abbraccio dal vostro "Capitan" Lucio Bernardini.