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ESCLUSIVA –-Reginato: “l’uomo dei 712 minuti” che ipnotizzò Haller e De Sisti

Adriano Reginato in esclusiva ai microfoni del nostro quotidiano

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Arrivato a Cagliari a ventisei anni, nel pieno della maturità calcistica, dopo essere stato prelevato dal Vicenza, Adriano Reginato visse cinque stagioni stupende. Sarebbe rimasto in Sardegna fino al termine della carriera. E anche oltre.

A distanza di quarantadue anni dal suo addio al calcio giocato, colui che fa parte di coloro che dall'isola non si sono mai mossi, ripercorre per il nostro quotidiano alcuni tra i momenti più intensi della sua esperienza in rossoblù.

Adriano, il Cagliari versione “Americana”. Ci racconti l'avventura con i Chicago Mustangs 1967?

Più dal lato sportivo e agonistico, è stata un'esperienza ricca dal punto di vista culturale. Un'occasione per cimentarsi contro squadre oltre oceano. Ci ha dato la possibilità di visitare il nord America; è stato un assaggio di quanto dopo avremo vissuto giocando la Coppa delle Fiere e la Coppa dei Campioni. Unica nota stonata (ride, ndr) il fatto che fosse in piena estate. Dopo un intero campionato, invece delle immediate vacanze, c'è stato questo supplemento di attività, con un caldo afoso. Eravamo comunque al completo, solo Gigi Riva non è partito, a causa dei postumi legati all'infortunio patito in Nazionale contro il Portogallo.

Il record di imbattibilità iniziale per un portiere, di 712 minuti, tuttora è imbattuto.

Si, ma il merito mi piace condividerlo con tutta la squadra. A partire dalla difesa, che indubbiamente ha dato il suo contributo, ma anche il centrocampo e l'attacco hanno fatto sì che subissimo poco.

Volendo però attribuire a te i giusti meriti, a quali parate sei legato?

Nel 4-0 contro il Bologna, più volte ho neutralizzato Haller a tu per tu contro di me, e in alcune di queste sono stato chiamato a spericolate uscite. Poi, contro la Fiorentina, ho tolto dall'incrocio una punizione di De Sisti, potente e destinata al “sette”. Cose che fai quando sei assistito da una buona vena e da una forma fisica ottimale.

Finita la carriera, hai allenato i giovani. Altra esperienza stimolante e gratificante.

È un lavoro appassionante, se lo fai per vocazione e con gusto. Ci devi anche essere portato, avendo le giuste inclinazioni pedagogiche. A volte rimani anche stupito. C'è chi poteva sfondare e si blocca, o perché non è fortunato, o non ha la giusta tenacia, e viceversa, chi magari era obeso, poi in futuro ottiene buoni risultati.

Un allenatore poco reclamizzato, ma in gamba: Hector Puricelli.

Ha fatto parte del ciclo “allargato” dello Scudetto. Per varie ragioni, la sua è stata una stagione (‘67/68, ndr) caratterizzata da numerosi imprevisti. Fra i quali uno mi ha riguardato: in un'uscita mi sono scontrato con Tiddia, tanto da rimanerne condizionato fisicamente fino a fine campionato. Il dolore di frequente si riacutizzava, per questo ero costretto ad alternarmi con Pianta.

A proposito di Tiddia, che compagno era?

Ti cito solo un proverbio che lui ha infranto: “nessuno è profeta in patria”. Lui invece, prima da giocatore e poi da allenatore, è stato per il Cagliari una risorsa preziosa.

Rivolgiamo un pensiero a Nenè e alla sua sofferenza.

Claudio era un “guggiolone”. Sempre col sorriso, metteva allegria. Tipiche alcune sue esclamazioni come pippa e obbabba. Veramente triste vederlo cosi.

Il tuo legame con Albertosi.

Ottimo. Appena è arrivato Ricky, viste le credenziali del suo curriculum, era il caso di farmi da parte. Sono rimasto volentieri a fare il dodicesimo, dando comunque un contributo in diversa maniera.

Ovunque andavi, ti imbattevi nei portieri titolari in Nazionale.

È cosi, forse li calamitavo. In precedenza, è stato Lido Vieri a farmi fare la riserva. Ma non rimpiango niente. Sono contento di una carriera comunque soddisfacente.

Grazie per la disponibilità.

Grazie a voi e un caro saluto a tutti i lettori.

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