Anno Domini 2014. Giulini diventa presidente del Cagliari. Il diktat alla società è chiaro: fate quello che volete, ma voglio Zeman e i portieri li scelgo io. Per esempio, quel ragazzino del Brescia. Non è alto ma vola, ricorda Peruzzi. Lo voglio.
La storia di Alessio Cragno e i sardi, con un 20% di bugie giusto per romanzarla un po', è nata così. Con il dito indice del patron rossoblù a indicare il suonò numero uno del Cagliari.
L'impatto è drammatico: quattordici presenze, ventisei gol subiti, quasi due a gara. Ciononostante Alessio mostra già i primi numeri del repertorio, ma la critica è inflessibile: non è pronto, non è bravo. Etichetta appiccicata, quella del sopravvalutato, del bidone. Il ragazzo perde il posto, e a gennaio il club non avrà idea migliore che ingaggiare quel fenomeno di Brkic. La retrocessione è solo il normale svolgimento dei fatti.
Poi i prestiti. A Lanciano prima, a Benevento poi. Da scarso diventa bravino e poi bravo, perché i giudizi nel calcio cambiano più velocemente del semaforo verde quando hai fretta. I sardi capiscono che forse è il caso di farlo tornare alla base e Cragno torna in Sardegna, con una parabola molto simile a quella del più esperto e ben più celebrato Perin: primo anno in A passato a prendere schiaffi a Pescara per colpa di una difesa senza logica, le critiche che piovono frettolose e superficiali. Poi la crescita e la consacrazione a Genova.
Avevo già fatto questo paragone ai tempi di Zeman, ma allora sembrava utopia.
Oggi Alessio sembra finalmente esser riconosciuto come uno dei gli estremi difensori emergenti più forti del panorama nazionale. Il Cagliari se lo coccola. Oggi a parlare sono molti meno.
