Orroli è un piccolo borgo di circa duemila abitanti della provincia del Sud Sardegna, nella sub regione denominata Sarcidano.
La presenza di numerosi nuraghi nel territorio testimoniano che il piccolo centro fosse già abitato in epoca nuragica; a partire dal quarto secolo a.C. subì poi la dominazione punica e poi romana, culture delle quali sono tutt’oggi visibili tracce importanti.
Durante il Medioevo entrò a far parte del Giudicato di Cagliari per poi passare sotto il dominio pisano e poi aragonese, e quindi sabaudo fino alla soppressione del sistema feudale.
Meritevoli di una visita sono gli edifici religiosi del borgo, tra i quali spicca la parrocchiale dedicata a San Vincenzo Martire, patrono del paese, e Sant’Anastasia, o ancora la chiesa di San Vincenzo Ferreri, edificio sacro dedicato al santo spagnolo grazie alla volontà del teologo Salvatore Pisano, ma anche la chiesa di San Nicola, situata nel rione più antico del paese, e posizionata in prossimità del nuraghe omonimo e che, anche per questa prossimità, si ritiene esser la più antica parrocchiale di Orroli.
Interessante anche la chiesa campestre dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, che si anima per tre giorni, in concomitanza della prima domenica di giugno in occasione della festa dedicata alla santa.
Il territorio di Orroli, inoltre, ospita alcune abitazioni storiche ben conservate e degne anche queste di visita come, ad esempio, la palazzina dell’antica famiglia Demuro o la palazzina della famiglia Anedda, o ancora Casa Carrus o Casa Schirru.
Interessante anche Casa Vargiu, di proprietà del comune e adibita oggi a Museo dedicato al “gigante Rosso”, fiore all’occhiello del centro del Sarcidano.
Il nuraghe Arrubiu, o gigante rosso” come viene chiamato dalla popolazione, è una delle testimonianze più pregevoli della protostoria sarda, è uno dei più grandi e complessi dell’intera isola, unico esempio noto di nuraghe pentalobato.
L’appellativo gli deriva dalle sue maestose dimensioni e dalla caratteristica colorazione rosso scura data dai licheni che proliferano sulle rocce basaltiche e dalle tracce di ferro in esse contenute.
Il complesso nuragico risale al millecinquecento a.C. e rimase in uso fino a IX secolo quando, per cause non ancora note, un crollo ne ha determinato l’abbandono, o almeno fino al cento a.C. circa quando, con l’arrivo dei romani, il nuraghe riprese vita.
Il complesso è costituito da una enorme torre centrale e altre cinque torri minori attorno, tutte circondate da una cinta muraria esterna, con ulteriori sette torri incastonate in una ulteriore cinta muraria difensiva che contiene numerosi cortili ammassati attorno al mastio.
Inoltre, a significare le dimensioni dell’area e l’importanza del sito, è presente una seconda cortina muraria esterna con cinque torri, ed una ulteriore nuova cortina con ulteriori tre torri, non raccordate alle precedenti, per un totale di ventuno torri, e una superficie di circa cinquemila metri quadrati.
Una delle torri, per la precisione la Torre C, viene oggi chiamata la Torre delle donne poiché al suo interno, gli scavi hanno portato alla luce quasi unicamente reperti legati al mondo femminile, tra i quali fusi per filare la lana, aghi ma anche piccole macine per i cereali
Il gigante è stato oggetto di scavi a partire dagli anni Settanta, sebbene i primi studi sul sito risalgano ai primi anni del XX secolo ad opera di Vittorio Anedda, vero cultore del sito.
Il mastio presenta solo il primo dei tre piani originariamente previsti e, percorrendo uno stretto corridoio, consente l’accesso ad una sala con un vaso rituale, con copertura a tholos, o falsa cupola.
Gli scavi hanno evidenziato un complesso sistema di drenaggio e canalizzazione delle acque e nei cortili circostanti invece sono stati rinvenuti cisterne, nicchie, scale e corridoi coperti, tutto circondato dai resti di capanne compresa una di dimensioni più importanti considerata essere utilizzata per le riunioni, visto il grande sedile lungo il perimetro.
Del riutilizzo poi in epoca romana sono le vasche per la produzione del vino, come testimoniato anche dagli attrezzi rinvenuti.
Tra i reperti rinvenuti inoltre, spiccano ceramiche di importazione dal Peloponneso, a testimonianza di intensi e costanti traffici anche con la civiltà micenea.
Proprio gli studi sulle ceramiche hanno recentemente rivelato che in questo “laboratorio enologico” veniva prodotto probabilmente il vino bianco più antico del bacino del Mediterraneo occidentale, ma anche una bevanda nota come “birra nuragica” antesignana dell’attuale ma la cui ricetta è a tuttora sconosciuta.
Il sito svetta sull’altopiano denominato “Su Pranu” che domina il vecchio guado del fiume Flumendosa sebbene oggi, per via della presenza bel bacino artificiale, questo risulti completamene sommerso.
Risultano tuttavia ancora visitabili, nelle vicinanze del gigante, la tomba dei giganti nota come Tomba della Spada e, nel bosco di roverelle del Parco Su Motti, la necropoli di quindici domus de Janas.
L’intera area è a tutt’oggi oggetto di scavi, ripartiti con cadenza annuale dal 2012 in poi e che stanno evidenziando, attraverso tecniche di indagine più all’avanguardia, dettagli e informazioni sempre più approfondite e interessanti, non ultimo il fatto che una grande parte del complesso sia ancora da scavare e indagare.
Progetto promosso dalla Regione Sardegna, Assessorato al Turismo