La poetessa americana Edna St. Vincent Millay, terza donna a ricevere il premio Pulitzer per la poesia, scriveva che “Il buio rapido scende e l’oggi è già il tuo ieri”, ed effettivamente questo sintetico pensiero sulla fugacità e sulla brevità della vita rappresenta in modo significativo l’epopea di un villaggio che ha avuto l’ambizione di regalare un sogno ai suoi abitanti.
A vederlo dalla sommità della collina che lo dominava, doveva apparire all’epoca come una piccola ma laboriosa e attività cittadina, una comunità di formichine intente a costruirsi un futuro, ignare del destino che nell’arco di pochi decenni si sarebbe abbattuto sulle loro vite.
Ci troviamo nei pressi di San Vito,un comune italiano di circa tremilacinquecento abitanti nella provincia del Sud Sardegna, precisamente nella subregione storica del Sarrabus.
Il territorio di questo borgo ci racconta una storia antica, che parte dal periodo prenuragico e nuragico, a significare quanto, nei secoli, questaarea sia da sempre stata zona abitativa privilegiata, grazie anche alle ricchezze del sottosuolo.
Sottosuolo che divenne zona ambita, all’indomani dell’Unità d’Italia, per lo sfruttamento minerario allorquando Carlo Gustavo Mendel, Console di Svezia in Italia, cominciò ad esplorarla a fini estrattivi vista la particolare abbondanza di argento e piombo.
Ecco, quindi, che la Miniera di Monte Narba a metà Ottocento venne concessaalla “Società anonima Miniere Lanusei” la quale, dando enorme impulso allo sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo, iniziò a richiamare nell’isola numerosi lavoratori.
La miniera divenne presto uno dei maggiori giacimenti di piombo e argento d’Italia, avvocandocentinaia di lavoratori, tanto che molto rapidamente sorse, nei pressi della miniera, un villaggio dedicato al personale impiegato, che si attestava sulle circa novecento unità.
Questo piccolo centro, isolato dal resto del mondoal punto da destinarci dei detenuti austriaci della Prima Guerra mondiale praticamente impossibilitati a scappare, aveva rapidamente imparato ad essere autosufficiente, dotato di luce elettrica e telefono, officina meccanica, un piccolo ospedale, falegnameria e case per impiegati e dirigenti.
Una cittadina all’avanguardia che si sviluppava intorno al suo cuore decisionale, riconosciuto inVilla Madama, un bellissimo palazzotto in stile Liberty, alloggio del direttore della miniera e della sua famiglia.
Si tratta di una palazzina a due piani progettata dall’ingegner Traverso che ancora conserva, nella facciata, una lunga balconata con ringhiera in ferro battuto e un bell’ingresso sormontato dal monogramma SL (Società Lanusei). I suoi interni, ancora oggi, nonostante l’incuria e il tempo, lasciano letteralmente senza fiato: le ampie stanze si mostrano tuttora nella loro antica bellezza, offuscatasoltanto dal tempo rivelando, qua e là, gli antichi splendori e lussi dell’epoca, come la caldaia a legna o il refrigeratore nella cucina.
Al primo piano si trova un vero e proprio gioiello: un affresco a soffitto, probabilmente realizzato da un maggiore austriaco prigioniero con notevoli velleità artistiche e numerose decorazioni nello stile dell’epoca, il Liberty.
Il lavoro non mancava tanto che i minatori, nei quattordici livelli di gallerie scavate, arrivando fino a cinquecento metri di profondità ed una rete di tunnel estesa circa diciotto chilometri, riuscirono ad estrarre fino a millequattrocento tonnellate di materiale.
Ma come spesso accade, ancor più a volte in Sardegna, i sogni si infrangono all’alba del nuovo giorno e così, nell’immediato primo dopoguerra, l’attività estrattiva nell’isola inizia ad entrare in crisi sia per il progressivo esaurimento dei filoni, ma anche a causa della forte concorrenza di miniere d’oltre oceano che deprezzavano pesantemente il valore dell’argento.
Nonostante l’avvicendarsi di diverse società di gestione, alla fine toccò alla “Montevecchio” rinunciare nel 1935 alla concessione estrattiva, decretando quindi la fine del sogno della Miniera di Monte Narba, a causa delle ingenti perdite economiche, divenute ormai insanabili.
Ma Monte Narba sembra non volersi arrendere alla sorte scelta per lei dal destino infelice delle miniere isolane, e spera in una nuova primavera quando, sul suo territorio, si impianta una azienda agricola, con tanto di mezzi agricoli, scuderie, magazzini etc.
È un sogno che, tuttavia, dura poco, una meteora nel tempo, che nell’arco di pochi anni condanna definitivamente Monte Narba all’abbandono e all’oblio.
Cosa resta oggi di questo piccolo villaggio, tanto all’avanguardia un tempo? Si potrebbe rispondere con un apparente controsenso: poco ma tanto allo stesso tempo. Poco perché purtroppo il tempo e l’incuria hanno trasformato quei moderni edifici dell’epoca in fantasmi diroccati e fatiscenti, fagocitati dalla vegetazione che, inesorabile come il destino, si sta riappropriando dei suoi spazi.
In fin dei conti, però, ci resta tanto altro poiché tutto l’intero complesso ancora oggi trasuda bellezza, quella data dal lavoro e dall’impegno degli uomini e donne che qui hanno vissuto, lavorato e sperato in un futuro prospero e dignitoso. E la riprova arriva da quei macchinari ancora visibili, seppur corrosi e abbandonati, pronti ancora a sfidare il tempo e il destino, mostrandosi lì con la loro fierezza del lavoro svolto al servizio dell’uomo e del progresso.
Oggi Monte Narba è metà privilegiata per gli amanti dei borghi abbandonati e dell’archeologia industriale dove, necessariamente accompagnati da guide esperte e con la massima cautela a causa del frequenti crolli, è possibile affrontare un percorso mediamente impegnativo facendosi spazio tra arbusti e rovi, arrivando fino alla confinante area forestale di Genna Argiolas.
Progetto promosso dalla Regione Sardegna, Assessorato al Turismo