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L’area archeologica di PranuMuttedu, il santuario destinato al culto degli antenati e del tempo

La “Stonehenge sarda” tra tombe e perdasfittas, domus de janas e capanne alle porte di Goni

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Nella provincia del Sud Sardegna, precisamente nella sub regione del Gerrei, si trova un piccolo ma grazioso borgo di circa cinquecento anime, circondato dal querce e lecci, nella valle del Flumendosa, posizionato in mezzo a due versanti montuosi. Un piccolo scrigno che nel suo territorio conserva siti risalenti al periodo preistorico di altissimo interesse, il luogo ideale per chi volesse apprezzare natura e archeologia.
Parliamo di Goni, piccolo paese a circa sessanta chilometri dal capoluogo, è il più piccolo comune della provincia del Sud Sardegna, e può vantare una natura praticamente intatta proprio a partire dalla vallata del Flumendosa e i boschetti ricchi di selvaggina.

Goni è inoltre uno scrigno di tradizioni artigiane antiche di secoli, come ad esempio la lavorazione del sughero, grazie al bosco di sugherete che si trova a pochi chilometri dal centro abitato, o l’arte dell’intreccio.

Ed è proprio in mezzo ad un bosco di sugherete che si cela uno dei tesori più preziosi e antichi, un tesoro da molti conosciuto come la “Stonehenge sarda”, sebbene sia decisamente più antica rispetto al più noto sito inglese, un ‘area tra le più vaste, ammirate e suggestive dell’intera isola: il parco archeologico di PranuMuttedu.

Più precisamente, il parco comprende i sepolcreti di PranuMuttedu e di Nuraxeddu e relativo agglomerato di capanne, ma anche delle domus de Janas di Genna Accas e delle dolmen di Baccoi.

Il parco sorge a pochissima distanza dal centro abitato, a riconferma della radice del nome del piccolo centro (dal prelatinoGonnos, ossia collina) su una collinetta a circa cinquecento metri, in località Peinconi, area geologicamente molto interessante anche perché è possibile reperire un raro fossile, il graptolite, risalente addirittura al Paleozoico. 

Il complesso, scavato, a partire dal 1980 a più riprese dall’archeologo Enrico Atzeni, è uno dei maggiori siti funerari dell’intera Sardegna prenuragica e presenta, con circa sessanta megaliti, la più ampia concentrazione di menhir e megaliti dell’isola, seconda solo al sito di Biru ‘e Concas di Sorgono.

I menhir prendono nome dal bretone men, pietra e hir, lunga, e da qui l’italianizzato “pietrafitta” ed il sardo “perdasfittas”, pietre conficcate”; si tratta di megaliti (dal greco “grande pietra”) costituiti da un solo, grande blocco di pietra generalmente squadrata o più sottile sulla sommità, alti fino a venti metri, eretti singolarmente o in gruppi a partire dal Neolitico.

Nell’isola i menhir sono presenti in numerose zone, e attualmente se ne contano circa settecentocinquanta per i quali è possibile operare una primissima suddivisione: menhir proto-antropomorfi e menhir antropomorfi.

Ascrivibili alla prima classificazione sono ad esempio i circa cento menhir rinvenuti a Làconi, le cui pietre hanno facce completamente lisce sebbene possiamo ascrivere a questa categoria anche i menhir di Goni i quali, sulla base del loro “aspetto”, possono assumere tuttavia una valenza maschile o femminile per via di piccoli accenni somatici.

Infatti, ai menhir di aspetto liscio, viene generalmente attribuita una valenza maschile, con simbologia prettamente fallica; diversamente, altri menhir riportano scolpite delle forme evocative delle mammelle e da qui, quindi, la simbologia evocativa del mondo femminile

Nelle tombe del sepolcreto, costituitein arenaria locale, accedendo tramite un piccolo corridoiocostituitoda lastroni, si accede alla camera funeraria propriamente detta, ossia cellette di forma circolare o allungata, di diverse dimensioni sulla base del numero di sepolcri ospitati, con copertura a pseudovolta. 

Talvolta la sepoltura era destinata ad un unico defunto il quale veniva introdotto nella camera funeraria attraverso un’apertura squadrata, e deposto in posizione fetale, rannicchiato.

Gli scavi nell’area hanno portato alla luce un piccolo tesoro di punte di freccia in ossidiana, piccoli utensili ma anche vasetti che hanno permesso agli studiosi di datare il sito in un’età compresa tra il 3200 ed il 2800 a.C., sebbene sia stato utilizzato fino al 2600 a.C...

In prossimità dell’area sepolcrale, poi, troviamo i menhir, distribuiti a coppie o piccoli gruppi; particolarmente rilevante, infatti, un gruppo di venti menhir allineati e orientati secondo il corso del sole.

Interessante inoltre il Nuraghe Goni, situato sull’altopiano che domina il paese e che consente una magnifica vista anche sul lago Mulargia. 
Si tratta di un nuraghe monotorre, di forma circolare, costruito con blocchi di calcare alto circa otto metri, con camera a tholos integra, anch’essa di forma circolare con tre piccole nicchie.

Sulla base degli studi, è quindi possibile affermare che l’area fosse un “santuario”, un complesso sacro-funerario legato al culto degli antenati; tuttavia PranuMuttedu è decisamente di più poiché se ad esempio consideriamo la disposizione dei menhir e delle tombe, posizionate su cerchi concentrici, ed in particolare la tomba numero due, queste risultano allineate astronomicamente per creare uno straordinario calendario astronomico decisamente più antico del più noto sito inglese, successivo di circa mille anni.

Secondo alcuni studiosi, infatti, osservando gli allineamenti dall’alto, sulla base della posizione delle pietre, sarebbe possibile rilevare il solstizio d’estate,l’equinozio di primavera e quello d’autunno.

Da questo si deduce che, oltre che essere un area sacro-funeraria, era anche un centro di aggregazione per le popolazioni sarde della zona le quali, sebbene sparse nel territorio, sarebbero invece ascrivibili ad un’unica comunità.

 

Progetto promosso dalla Regione Sardegna, Assessorato al Turismo

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