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Sant’Andrea Priu, da necropoli prenuragica a chiesa rupestre nella terra buona

La tomba del Capo, uno scrigno di bellezza e tesori dal Neolitico al medioevo

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Bonorva, comune di circa tremiladuecento anime nella provincia di Sassari, decantata dal canonico Giovanni Spano come la “Siena sarda” per la purezza della lingua, il logudorese, parlato nel paese.

Questo piccolo e grazioso borgo sorge ai piedi dell’altopiano di Campeda ed ha ai suoi piedi la fertile piana di Santa Lucia; ed è proprio grazie a questa fertile piana che, pare, tragga origine il suo nome: “bonus orbis” dicevano i romani, cioè la “terra buona” sebbene dagli studi risulti una zona abitata fin dall’epoca preistorica, distinguendosi addirittura come un importante centro nel periodo prenuragico e nuragico.

Sul lato meridionale della piana di Santa Lucia, infatti, a circa dieci chilometri dal centro abitato sorge un sito prenuragico particolarmente importante e straordinariamente bello, uno dei più rilevanti e spettacolari dell’intera Sardegna.

Si tratta di una necropoli ipogeica, un sito cioè dove si ritrova un raggruppamento di sepolture che, nel caso di struttura ipogeica, risulta scavata nel terreno o nella roccia.

Siamo nella straordinaria necropoli di Sant’Andrea Priu, una necropoli di circa venti tombe ipogeiche della tipologia detta a “domus de Janas”, una delle quali risulta composta da ben diciotto vani, una delle più vaste dell’intero bacino del Mediterraneo.

Avvicinandosi al sito, si nota subito che la necropoli sfrutta un affioramento di rocce di trachite alte circa dieci metri, con gli ingressi alle domus rivolti verso il piano campagna ma sopraelevati di qualche metro.

Il sito, risalente a periodo della cosiddetta “cultura di Ozieri” risalirebbe al Neolitico finale, ossia un periodo compreso tra il 3500 ed il 2900 a.C., nel corso dei secoli successivi ha subito delle modifiche, anche importanti, a dimostrazione di un suo riutilizzo in epoche susseguenti, fino al periodo medioevale.

Tra le varie, particolare interesse rivestono le domus cosiddette “Tomba del Capo”, la “tomba circolare” e la “tomba a capanna circolare” sebbene in generale tutte le domus risultano interessanti e riproducano particolari decori che sembrano volerle assimilare alla casa del defunto.

In assoluto, la Tomba del Capo è una delle più conosciute e spettacolari poiché con i suoi diciotto vani e ben duecentocinquanta metri quadrati è indubbiamente imponente e interessante.

Immaginando un’esperienza immersiva, partiamo da un piccolo atrio che funge da ingresso seguito da un’anticella e quindi da due ampie camere dalla quali si aprono, a loro volta, delle ulteriori camere dalle dimensioni più contenute e, a seguire, ulteriori nuovi ambienti dove troviamo i loculi ed altri ripiani per la deposizione dei defunti.

Entrando nel dettaglio di alcuni vani, è possibile descrivere l’anticella come un ambiente piuttosto importante, specie se consideriamo il periodo di realizzazione, di circa venti metri quadrati di forma semicircolare, che colpisce nell’immediato poiché il soffitto risulta finemente lavorato con un motivo con travetti di legno a rilievo, come a simulare un tipico ambiente delle capanne con copertura in legno.
Lungo il pavimento, invece, sono invece visibili una serie di coppelle votive incavate nel terreno, con funzione prettamente rituale mentre, sulla sinistra, sono visibili due fosse, si presume tombe “terragne” la cui lastra era stata inserita al livello del pavimento stesso.

Da qui, attraverso un’apertura di circa due metri di altezza, si passa all’ambiente immediatamente successivo che, con i suoi trenta metri quadri, è l’ambiente in assoluto più ampio di tutta la domus, e la cui altezza massima raggiunge i tre metri d’altezza. Un ambiente davvero imponente tanto che il soffitto si avvale anche del sostegno di due colonne di circa sessante cm di diametro.

Da questo ambiente, che nonostante i lavori di restauro e riutilizzo dei secoli successivi conserva ancora il colore di intonaco rosso ocra risalente al periodo preistorico, si accede all’ambiente successivo, anch’esso con due colonne a sostegno del soffitto, anche questo come il precedente, privo di decori.

Poco dopo l’ingresso in questo ambiente, si nota la presenza di un punto luce, una sorta di camino che ci collega con la superficie, al livello della piana di Santa Lucia; in epoca medioevale proprio in prossimità di questo punto luce era posizionato l’altare quasi a voler illuminare il celebrante con un raggio di luce “divina”.

Va ricordato che questo sito è stato riutilizzato in periodi e culture successive come, ad esempio, in epoca romana e poi bizantina quando la Tomba del Capo fu trasformata in chiesa rupestre, e da qui l’intitolazione a Sant’Andrea, e quindi oggetto di ristrutturazioni e rifacimenti in diversi punti, alla maniera dell’epoca. 

Risultano quindi visibili le iscrizioni medioevali, e gli affreschi che rappresentano le figure femminili, le ghirlande e gli uccelli emersi durante gli importanti lavori di restauro del 1969.

Di particolare rilievo, inoltre, è possibile ricordare gli affreschi del ciclo noto come del “nuovo Testamento” con le scene dell’Annunciazione, o della Nascita di Gesù o ancora della Strage degli Innocenti, ma anche all’affresco del Cristo in trono con gli evangelisti, al centro di una parete.

Al di sopra del costone trachitico che ospita la necropoli è visibile una roccia maestosa, denominata “Il Campanile” o il “Toro Sacro” per la sua forma che, inizialmente si pensava di fattura antropica ma studi successivi hanno dimostrato essere assolutamente naturale, modellata dalle intemperie.

Progetto promosso dalla Regione Sardegna, Assessorato al Turismo

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