La nota scrittrice britannica Mary Renault sosteneva che “il vino è la parte intellettuale del pranzo”, ponendo l’accento sull’alto valore che gli uomini attribuiscono al “nettare degli dèi”.
Ed è infatti antica la storia del binomio uomini e vino tanto che, anzi, in Sardegna si deve tornare indietro fino all’epoca nuragica poiché un numero sempre maggiore di studiosi sembra concordare che già i nuragici conoscessero la coltivazione della vite e producessero del vino, probabilmente il Cannonau che risulta, proprio a detta di numerosi ricercatori ed esperti, come uno dei vini più antichi del Mediterraneo.
Nelle epoche successive, e con l’arrivo nell’isola di altri popoli colonizzatori come, ad esempio, i fenici ed i cartaginesi, in Sardegna la coltivazione dell’uva viene non solo mantenuta ma decisamente aumentata e impreziosita.
Tuttavia, è durante il periodo romano che la Sardegna compie un vero e proprio balzo in avanti nella cultura enologica grazie alla produzione di un altro vino ancora oggi diffusissimo e caratteristico: la vernaccia.
Si ritiene infatti che il nome di questo vino derivi dal latino vite vernacula, cioè vino di casa, come ci racconta lo storico romano Columella il quale, dismessa l’armatura da tribuno, è divenuto uno dei massimi esperti nel campo dell’agricoltura dell’epoca grazie non solo al suo approccio scientifico ma anche ai suggerimenti e consigli pratici in materia.
Superato il periodo vandalico, la coltivazione della vite assiste ad un nuovo slancio grazie anche all’opera dei bizantini, e soprattutto ai monaci basiliani che introdussero nell’isola nuovi metodi di coltivazione e nuovi vitigni nei pressi dei monasteri.
Anche in epoca medioevale l’importanza del vino rimase invariata tanto che addirittura la Carta de Logu prevedeva pene severe ed il divieto di tenere inoperoso o mal gestito qualsiasi vigneto.
In seguito, la viticoltura sarda continuava a prosperare e produrre ottimi vini restando tuttavia quasi confinata all’interno dei confini isolani, se non con rari prodotti ben riconoscibili e identitari.
Un nuovo grande balzo in avanti, con l’apertura verso il resto del mondo si hanel primo dopoguerra quando anche grazie a lungimiranti imprenditori di ampia mentalità, i prodotti sardi cominciano a varcare i confini isolani per conquistare ampie fasce di consumatori amanti dei sapori di Sardegna.
Insomma, risulta quindi corretto affermare che la Sardegna possa vantare una tradizione vitivinicola addirittura millenaria, patrimonio ancora invariato sia per qualità che per quantità, dal momento che si stima una produzione annuale di circa seicentocinquantamila ettolitri all’anno.
Sono numerosi oggi i vini che varcano i confini dell’isola, diventando quindi vere icone del gusto e dell’eccellenza sarda.
Tra i vari e notevoli vini sardi, il già citato Cannonau, che si ritiene prendere il nome da una canna con la quale i viticoltori usavano mescolare continuamente il mosto, così da intensificare il colore rosso rubino di quelle uve. Questo rimescolamento con la canna veniva chiamato in sardo “cannonare”, e quindi il risultato era un vino cannonau, ossia prodotto con questa metodologia.
La vernaccia poi, il cui nome è legato alla città di Tharros, antico centro abitato punico-romano ed i cui resti sono oggi di grande bellezza e interesse storico, sebbene oggi, più in generale, il nome della vernaccia è ampiamente legato alla zona dell’oristanese.
Provando a sintetizzare, i vitigni sardi oggi sono noti per i loro prodotti d’eccellenza e tra questi rientrano a buon titolo il Bovale Sardo, il Cagnulari del Sassarese, o ancora più trasversali il Monica, Vermentino o Nuragus, ovunque presenti nell’isola.
Ma è innegabile che, oltre ai vini, la Sardegna siaamata e apprezzata anche per un liquore fortemente caratteristico, un liquore dal colore rubino intenso, dal profumo aromatico vigoroso, deciso ma capace di ammaliare: il mirto sardo.
Il mirto nell’isola assume fin da subito i connotati dell’accoglienzaed infatti lo si trova veramente in tutte le case sarde, da gustare come fine pasto ma anche da offrire ad amici e parenti in visita.
Di origine antica, quanto la sua ricetta segreta e differente di famigliain famiglia, come un patrimonio segreto da custodire e tramandare gelosamente, le bacche del mirto sempre state apprezzate anche perché la mitologia le vuole cariche di significato e valenze positive, in quanto legate al mito di Myrsine, giovane donna uccisa da un rivale battuto ai giochi ginnici. La dea Atena si impietosì alla storia della giovane e decise di trasformarla in un arbusto forte e odoroso, resistente e sempre verde, ma con graziosi e profumati fiorellini bianchi, e con bacche quasi blu.
Anticamente infattiera usanza cingere il capo dei vincitori ai giochi con corone di mirto. Usanza tramandata anche ai romani che lo usavano in segno di vittoria senza spargimenti di sangue, ed era considerato sacro
Per i poeti il mirto è portatore di pace e prosperità, e anticamente era tradizione donarlo alle donne in attesa in quanto propizio alla nascita. Era simbolo di amore e fedeltà coniugale tanto che ancora oggi, sovente, si usa arricchire il bouquet delle spose con un ramoscello di mirto.
Si pensi infine che i suoi fiori bianchi per lungo tempo furono usati dagli erboristi medioevali per creare un delicato profumo noto come “l’acqua degli angeli”.
Per noi oggi, e per chiunque pensi ai profumi dell’isola, il mirto è un liquore immancabile e diffuso ovunque, presente anche in cucina accostato all’amato maialetto arrosto o alla cacciagione.