“Il modulo resterà lo stesso di chi mi ha preceduto”. Con queste parole Gianfranco Zola prometteva, nella conferenza stampa di presentazione, continuità col progetto tecnico di Zeman. Detto, non fatto. Dopo un dubbio 4-3-3 mascherato in Coppa Italia in quel di Parma, in seguito al disastroso esordio di Palermo, i rossoblù parevano aver trovato il giusto assetto col 4-3-2-1: i due trequartisti (Pedro ed Ekdal) alle spalle dell’unica punta e la regia di Crisetig garantivano equilibrio e vicinanza tra i reparti. E i punti cominciavano a fioccare: vittoria contro il Cesena, pari a Udine e successo ai danni del Sassuolo. A Bergamo si perdeva per una prodezza dell’ex Pinilla, ma nessuno avrebbe gridato al furto se Joao Pedro dalla distanza non avesse scheggiato il palo ma piazzato la palla dell’1-2 in porta. Contro la Roma si cambiava direttore d’orchestra, rientrava Conti dopo la sciagurata espulsione di Palermo, non si aveva mordente e si perdeva.
A Torino veniva rispolverato il 4-3-1-2 tanto caro al Cagliari degli ultimi anni, Cossu faceva il suo dovere da trequartista e si conquistava un prezioso pareggio, grazie a Brkic e alla perla di Donsah; ma il vecchio modulo si rimetteva nel cassetto, e al Sant’Elia contro l’Inter, con Cossu affiancato da M’Poku dietro Cop, si usciva sconfitti dopo aver regalato un tempo agli avversari e aver sprecato l’impossibile nel secondo.
E domenica scorsa? Il Verona passeggiava sulle ceneri di una squadra, quella rossoblù, incapace di costruisce gioco e in preda alla confusione totale. Nel corso di 90 minuti, o poco più, venivano cambiati ben 3 moduli (sfidiamo chiunque a capirci qualcosa). Si iniziava col solito 4-3-2-1: Conti regista, esordio per Diakitè in difesa, ed Ekdal e M’Poku alle spalle di Longo. Dopo pochi minuti usciva di scena Donsah causa infortunio e faceva ingresso Pedro (mai fosse entrato): risultato, Ekdal scalato sulla linea mediana e il brasiliano trequartista. Fin qui tutto bene. A inizio secondo tempo Farias sostituiva Gonzalez. Il Cagliari passava al 4-2-3-1: Conti ed Ekdal sulla mediana e tre trequartisti. Il caos tattico aveva inizio, e si faceva sempre più forte man mano i minuti passavano, fino a divenire ingestibile al raddoppio del Verona. Lì Zola, ormai senza più nulla da perdere, giocava la carta Cop per Dessena: altro cambio di assetto, che diveniva stavolta 3-5-2. Assalto alla fortezza gialloblù? Sì, ma non bastava: Farias andava a fare quasi il terzino nelle situazioni di ripiegamento, e Diakitè diveniva punta, insieme a Conti e ai due attaccanti di ruolo.
Le poche occasioni venivano create solo su punizione o in virtù di iniziative individuali. Ma di gioco, fatto di trame, scambi veloci, sovrapposizioni, cross e chi più ne ha più ne metta, nemmeno l’ombra. D’altronde, a furia di cambiare si finisce per far girare la testa un po’ a tutti. E Zola l’ha fatta girare, e non poco alla squadra, rea a dire il vero di averci messo tanto, tantissimo del suo per stendere un tappeto rosso sul quale sospingere gli avversari direzione porta.
Che da sabato prossimo, in ogni caso, uno possa essere il modulo da proporre e difendere strenuamente, magari con un Husbauer in più sulla trequarti, giusto per fare una provocazione. Sia a due punte o col doppio trequartista non importa, sono le certezze del mister, anche se poche, a dover diventare certezze della squadra. E se non è filosofia zemaniana, poco ci manca.

