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Cagliari, non c'è più tempo

L'analisi del match contro la Juventus

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Doveva essere rivoluzione e rivoluzione non è stata. Con Caceres e Godin ghigliottinati in piazza Yenne e un altro miniclub di dissidenti pronti a fargli compagnia, ci si aspettava il 1789. Alla prova dei fatti, l'unica scheggia di diversità è stata impiantata con l'innesto di Gaston Pereiro, l'accessorio che spezza nell'outfit total black, oltre che un valido omaggio alla colonia uruguagia desertificata dall'addio annunciato del duo di difesa.

E alla fine, vai a fare i conti col caso, la novità è stato l'ingranaggio meno funzionante in assoluto. Eppure, tramite Pereiro, Mazzarri ha lanciato un messaggio, escludendo un Keita subentrato anche dopo Pavoletti, diversamente da quanto accaduto negli ultimi mesi, col senegalese saldamente in testa nelle gerarchie del secondo violino offensivo: non c'è tempo. Non c'è tempo per far ambientare Caceres e farlo adattare alle sabbie mobili, non c'è tempo per attendere gli alti e bassi del numero 9. Ma non c'è tempo nemmeno per Walter. Il tecnico continua a predicare calma e pazienza, e a Cagliari si ripete il mantra del trascorrere delle settimane come condizione necessaria e sufficiente per far cambiare registro alla squadra. Ora i mesi passati sono tre, e i rossoblù sono almeno pari a quelli lasciati da Leonardo Semplici: non necessariamente peggio, ma sicuramente non meglio. Vincenzo Italiano, per fare un esempio, ha impiegato un mese per trasformare la Fiorentina da squadra in lotta per non retrocedere a club da Europa. L'anno prima, immediatamente dopo la promozione in A con lo Spezia, si era visto smontare la squadra da cima a fondo: i bianconeri erano stati totalmente rivoluzionati, ma Italiano aveva impiegato qualche settimana per far tornare a giocare lo Spezia esattamente come prima, cioè molto bene. Un altro valido caso è quello di Max Allegri, che si è trovato in casa una Juve con mezzo metro d'acqua in casa e l'ha ritrasformata in quella a sua immagine e somiglianza: sicuramente non la più forte del campionato, ma evidentemente una contro cui è difficilissimo segnare: piaccia o non piaccia, è sua. Solo due prove pratiche, ma che chiariscono bene che quella delle ere geologiche per impiantare un concetto calcistico sia una leggenda, narrata e tramandata da tecnico in tecnico per salvare generazioni di panchine. Purtroppo, e il Natale sarà tiranno in questo senso, non c'è nemmeno troppo tempo per risalire la corrente. Per quanto le altre vadano a rilento, sembra difficile ipotizzare una quota salvezza a venticinque-trenta punti: ogni anno sembra abbassarsi, ma poi resta sempre attorno ai trentasette. Sono nove vittorie di distanza. Capito perché non c'è più tempo?

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