Uno slogan, l'ennesimo. In questi anni si è perso il conto, dall'ossimorico “traballai meda, chistionai pagu” al centenario, passando per Cagliari ai sardi e poi agli uruguagi, qualsiasi essi siano, per ritorni di facciata e ora le scuse urbi et orbi.
Un messaggio di questo tipo, significa – di fatto e se mai ce ne fosse bisogno – ammettere di essere arrivati alla Fossa delle Marianne e, forse, di aver raggiunto un punto di non ritorno.
Va così da tempo. Il Cagliari è sprofondato in uno stato depressivo irreversibile e non c'è modo di uscire dal traforo. Vivacchia di sussulti che la tengono in vita, agganciata alla Serie A tramite una flebo che sta per sfociare nell'accanimento terapeutico. E ora, forse, inizia ad esser necessario un basta così. È un ragionamento cinico e probabilmente che lascia il tempo che trova, ma la Serie B rischia di diventare l'unico modo per cambiare rotta. Perché si può (e si deve) stare sul ring sino alla giornata trentotto, e si può pure mettere in preventivo la possibilità che l'ennesima congiunzione astrale regali un'altra casuale annata in A. Ma dopo che succederebbe? Ci sarebbe la grata conferma degli eroi della salvezza, l'innesto di due o tre vecchie glorie a caccia di spiagge, Joao Pedro in attacco e ripartirebbe il valzer, in un loop temporale senza soluzione di continuità. Forse il Cagliari ha bisogno di un anno di purgatorio, ma che sia vero purgatorio: una grande fuga, l'epurazione di tutti i vacanzieri di fine carriera, una mescolata alle idee ai piani alti e, soprattutto, la ripartenza da volti nuovi, da nomi meno altisonanti, con meno fama ma più fame, da calciatori che non abbiano mai giocato in A ma che smanino per farlo. I Melchiorri, per farla chiara. Non credo sia un caso che la migliore annata del decennio sia stata messa in archivio nel primo anno dal ritorno in A, sotto l'egida del contestatissimo Rastelli. Era una squadra diversa, con giocatori a caccia di primi e non di ultimi palchi, che avevano assaggiato il fango e non volevano tornarci. È chiaro che tutto questo scherzo rappresenterebbe un costo (e pure un rischio). Perchè difficilmente puoi raccontarla così a un tifoso, e perché difficilmente può accadere uno schiocco di dita del genere senza che nessuno si faccia male. Perchè c'è chi ancora ci crede: non tanto in questa salvezza, che pure sarebbe ancora ampiamente alla portata. Ma è più importante chi crede ancora nel Cagliarri e in ciò che rappresenta e ha sempre rappresentato, nel suo concetto astratto più che nella sua rappresentazione fisica, declinata in un organigramma societario e nei suoi componenti, che emerge in tutta la sua concretezza nel messaggio di scuse, che può aver senso se formulato dalla squadra, molto meno se in arrivo a mezzo minuto dal fischio finale su input aziendale.