Novanta minuti con le grandi orecchie, con la parola Sardegna Arena che per un'ora e mezzo ha fatto rima con Champions League. Poi i tempi supplementari, quelli facoltativi, quelli da barellieri in slowmotion o da equilibristi del regolamento. Di fatto si gioca sin quando la Lazio non la ribalta: in sette minuti di agonia, il Cagliari fa in tempo a dimenticarsi i centimetri che hanno negato il due a zero, a sgretolarsi e regalare ai biancocelesti il proprio angolo di paradiso.
Il gol di Simeone sembrava aver rimesso a posto gli astri: assist del dieci, gol del centravanti, com'è giusto che sia e come non stava succedendo. Poi il 99 ci ha messo del suo, facendo la partita più Cholitica possibile: Il Cagliari si è ritrovato là davanti con un incrocio tra uno stopper, una prima punta e un dobermann, con un Acerbi costretto agli straordinari per contenere il furore agonistico dell'ex Fiorentina. Il problema è che correre la maratona ha Il suo costo, e Simeone ha pagato la gran sudata con una scarsa lucidità sotto porta. Del resto, credete che suo padre non se lo sarebbe già portato a Madrid se avesse avuto anche questo killer instinct?
Buone risposte anche dai meno utilizzati: Ionita e Lykogiannis son stati tra i migliori in campo, e a braccetto, dandosi una grossa mano a vicenda, si son portati a casa lo scalpo di Lazzari, pericoloso ma mai letale sulla destra.
Maran paga anche il gap tecnico in panchina, penalizzato da una situazione di infermeria che, combinata alla squalifica di Rog, non gli ha consentito il cambio efficace al momento giusto. C'è da mettere la mano sul fuoco che, potendo, il tecnico avrebbe buttato nella mischia un Castro al 20' della ripresa. Il centrocampo ha finito per perdere verve, la palla non arrivava al tandem d'attacco e, quando riusciva a superare la seconda linea, difficilmente si accompagnava: Simeone risultava spesso solo a far la guerra contro tutti.
Non è un caso che il gol del k.o. laziale porti la firma di due subentrati: assist di Jony, gol di Caicedo.
Ora il momento decisivo: la sconfitta può essere una botta, o diventare la ragione di occhi infuocati. Ancora di più.