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Cagliari, 28 mesi con Rastelli: ecco cosa dice la storia

Salita e discesa di un allenatore che non sarà mai dimenticato

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L'assenza è la più incontestabile e imprevedibile forma di presenza. Perché la presenza è normalità, e la normalità non spaventa né smuove. Nessuno nota la sedia piena ogni giorno, tutti si accorgono quando si svuota. Ventotto mesi dopo, Rastelli non siede più su quella sedia.

L'esonero è arrivato una mattina d'autunno, quando le foglie vengono giù e cadere è più semplice, anche quando nessuno se lo aspettava più. Il tecnico Campano saluta dopo due anni e mezzo, durante i quali, nel bene o nel male, ha scritto la storia di questo club come pochi altri e diviso la piazza come nessuno.
Rastelliani contro antirastelliani, il tifo cagliaritano mai così spaccato, per un allenatore che non ha mai vinto tanto e quando l'ha fatto non ha convinto.

Il mister ex Avellino, onor del vero, ha sempre raggiunto gli obiettivi prefissati, in un modo o nell'altro. Ma la strada scelta per arrivare al risultato non era la stessa imboccata dal popolo rossoblù, che non ha mai gradito le scelte di un allenatore mai in grado davvero di rendere il Cagliari al valore del prezzo del biglietto. Motivo per cui i tre punti erano sempre, o quasi, accompagnati da smorfie, nasi storti, polemiche e la netta sensazione di esser davanti ad un uomo baciato sino allo sfinimento dalla dea bendata.

Così andò in Serie B, quando una squadra senza logica per la B (arsenale offensivo con Joao Pedro, Farias, Sau, Melchiorri, Giannetti e Cerri, roba da capogiro) andò vicino a non vincere una categoria da dominare contro un modesto ma ben impostato Crotone. Così andò in A, quando Rastelli salvò la panchina a suon di capolavori dei vari santi terrestri, vedi Farias in versione trascendentale col Sassuolo, vedi la bottiglia di elisir di lunga vita bevuta tutta d'un sorso da Borriello a inizio campionato.

Quest'anno il mister non ha avuto salvatori della patria né santi scesi sulla Terra, si è dovuto scontrare con la nuda e cruda logica del risultato, quello che lo aveva esaltato e che ha finito per condannarlo.

Ventotto mesi dopo il suo insediamento, un vero peccato salutarsi senza poter dire "c'eravamo tanto amati".

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