Lo spettacolo di San Siro si era concluso tra gli applausi. Bene, bravi, bis. E bis è stato. Pullman davanti alla porta e se si spacca un finestrino preghiamo San Rafael. Solo che nel copione c'è scritto che alla fine il gol lo prendi, via la maschera di Bacca, dentro quella di Dzeko, uno a zero e tanti saluti.
Eppure, per quanto simili, le due partite presentano grosse differenze. Szczesny ha sporcato i guanti meno di quanto avesse fatto Gigio Donnarumma, la squadra risultava schierata dieci metri indietro rispetto alla gara del Meazza e quasi mai si è resa pericolosa in contropiede, con un Borriello troppo abbandonato a sé stesso là davanti, lasciato a fare a sportellate con Manolas, Fazio e Rudiger, non esattamente tre pesi piuma.
Non si parla di Farias e Barella, attenzione. Diego risulta essere sempre l'unica miccia in grado di essere innescata da un momento all'altro, l'unica scheggia di imprevedibilità in una squadra spesso compatta ma quasi mai spumeggiante, e quel numero 18 ormai non sbaglia più un colpo: il suo percorso di crescita continua a seguire la curva con x che tende ad infinito.
Il fatto è che in mediana i giallorossi si mangiano Tachtisidis e compagnia, che quasi mai superano il pressing con ordine. Il centrocampo rossoblù diventa la siepe da saltare per far arrivare la palla in zona Borriello e poi vediamo che succede. Poco, troppo poco. Il contropiede non si può portare avanti in tre contro il Resto del Mondo, e qui una buona dose di colpa è anche di Murru e Isla, che quasi mai spingono come dovrebbero, concedendo licenze in fase offensiva a Bruno Peres ed Emerson che difficilmente potrebbero avere con due terzini a martellare sulle fasce.
In particolare stupisce negativamente il cileno, un giocatore lontano anni luce da quel fantastico pendolino ammirato ai tempi di Udine: l'ombra del maratoneta dal piede delicato che ai tempi d'oro non aveva rivali su quella fascia, spingendo la Juve persino ad investire venti milioni su di lui, nonostante il ginocchio avesse fatto crac. È proprio da quel crac, che El Huaso non è più stato lo stesso. Eppure qui nessuno ha smesso di crederci, nessuno ha voglia di credere che la brutta copia dell'Isla versione Udinese sia il massimo disponibile, e Rastelli farà ancora di tutto per recuperarlo.
Per una sconfitta che arriva, una certezza si aggiunge, ed è quella della salvezza. Là dietro vanno lente, troppo lente, e son davvero troppo brutte per essere vere. Con sedici punti sulla zona retrocessione, il Cagliari può dormire sonni tranquilli e giocare con maggior disinvoltura le restanti diciassette gare.
Sempre con la coda dell'occhio rivolta alla coda, ma con la testa dritta avanti. Accontentarsi non ha più senso, ammesso che ce l'abbia mai avuto.

