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Riva eletto il più grande calciatore degli ultimi 50 anni: “Devo tutto ai sardi e alla Sardegna”

Rombo di Tuono vince il premio e si racconta: ringrazia la sua terra, parla del suo amico De Andrè. E poi il piccolo Luca, un salto nel passato nella sua infanzia, la Nazionale e lo "strano" modo di seguire il Cagliari

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Gigi Riva è stato eletto miglior giocatore italiano degli ultimi cinquant'anni dai lettori di Calciomercato.com, testata online alla quale Rombo di Tuono ha rilasciato un'intervista.

Intanto un commento sulla vittoria, non manca lo stupore

“Davvero? Incredibile, con tanti campioni ben più giovani, attuali e decisamente più pubblicizzati di me in televisione. Probabilmente ciò significa che la memoria storica ha ancora un senso e che gli appassionati di calcio non sono poi così distratti. Evidentemente una certa coerenza professionale e umana alla fine paga. E, sotto questo profilo, mi sento orgoglioso per le scelte che ho fatto nella mia vita di calciatore e di cittadino. Anzi di sardo. Perché sono certo che senza la Sardegna e la sua gente non sarebbe mai esistito Gigi Riva”.

Un'intervista che poi esula completamente dal calcio nel momento in cui si parla del suo amico Fabrizio De Andrè, che torna in mente guardando le nuvole di Sardegna

“Le sue nuvole. Le mie nuvole. Soltanto nel cielo della Sardegna le puoi vedere così. Come le vedo io e come le vedeva lui, quel superbo poeta, le cui canzoni mi hanno accompagnato per tutta la vita e ancora continuano a farlo. Le conoscono i miei figli e anche i miei nipotini. Amo De Andrè, forse perché siamo simili. Ogni tanto salto in macchina e raggiungo il luogo dove lui era stato sequestrato e che poi ha comprato per costruire la fattoria dove, sicuramente, sarebbe venuto a vivere insieme a Dori se il cancro ai polmoni non l’avesse portato via. Lo stesso male che uccise mio padre e la mia mamma. Un pezzo di Sardegna nascosta e selvaggia nella quale rifugiarsi lasciando che il mondo vada avanti da sé con le sue miserie. Una pulsione che sento spesso anche io e che mi spinge a starmene per i fatti miei. Poi percepisco l’amore che la gente prova ancora per me. La gente di questa terra, intendo, e riemergo dal fondo. In maniera discreta, però. Il mio bar per la colazione, il mio ristorante Stella Marina per la mia zuppa di verdura, il green dove ogni tanto gioco a golf, il mio ufficio dove leggo i giornali. Niente calcio dal vivo. Le partite del Cagliari le registro e le guardo il giorno dopo”.

Il piccolo Luca, una disgrazia che lascia il segno

“Una tragedia insopportabile di quelle che non dovrebbero mai accadere. Un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ai suoi figli”.

Il valore dell'infanzia, della propria infanzia.

“La vita mi ha dato tantissimo sotto molti punti di vista. Eppure io baratterei almeno il cinquanta per cento di quel che o ricevuto con la possibilità di vivere un’infanzia diversa da quella che, invece, ho trascorso”.

La Nazionale, il calcio di oggi, il suo Cagliari

“Non volevo fare l’accompagnatore zoppo. E poi tante cose sono cambiate. Troppe cose. L’ultimo amico che ho lasciato a Coverciano è stato Cesare Prandelli. Un  bravo allenatore ma, soprattutto, un uomo buono. Ripeto. Non guardo più le partite. La fotografia simbolica del calcio di oggi è quella del giocatore che casca urlando, rimane per terra un’eternità e poi come se niente fosse riprende a correre più di prima. Si chiama finzione. Il calcio è altra cosa. Anche cadere però poi uscire in barella perché ti sei fatto male sul serio”.

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