Si dice (forse non a torto) che quello del pallone sia il gioco più bello del mondo e che il calcio rappresenti (nella vita) la cosa più importante tra quelle meno importanti. Appartiene a milioni di appassionati. Paganti, non lo si scordi. Tra questi ci sono uomini e donne di ogni età , tantissimi i bambini. Oggi (per l’ennesima volta) si sentono (scusate l’espressione) presi per il culo.
Ci sono gli sportivi veri (che increduli) hanno assistito (da spettatori inermi e disarmati insieme ai tifosi del Cagliari) all’ennesima vergogna del calcio italiano in una notte di inizio maggio al San Paolo di Napoli.
Ultimi secondi di gara. Parte un traversone, il difensore del Cagliari Cacciatore salta (neppure in modo scomposto) e in qualche modo involontariamente tocca la palla con un braccio, forse con una mano, un gomito, neppure si capisce. Come non è chiaro se impatti la sfera fuori area, sulla riga o dentro lo spazio dei sedici metri. Non può certo tagliarsi gli arti o svanire nel nulla, almeno questo è chiaro?
L’arbitro, giustamente (nel più che dubbio) lascia correre per poi essere chiamato (almeno un minuto dopo) al VAR. Si consulta con gli addetti a questa diabolica tecnologia, osserva, parlotta, riflette. Tutte scene viste e riviste. Quindi, concede uno scandaloso e ridicolo calcio di rigore al Napoli che vale la vittoria ai partenopei.
Non sapremo mai quali immagini abbia analizzato, quali i fotogrammi e i fermo immagine sottoposti alla sua attenzione.
Ma se davvero non c’è nulla da nascondere, perché non mostrare pubblicamente ciò che il direttore di gara valuta? Perché non proiettare sugli schermi degli stadi e in contemporanea in Tv gli stessi riflessi filmati in analisi all’arbitro?
Bella domanda. Sarà che ciò non avviene proprio perché c’è qualcosa da nascondere?
Così fosse non si parlerebbe più di sport, di calcio. Piuttosto di malafede e malaffare.
Tirino fuori le tanto segretamente sbandierate prove scientifiche. Altrimenti, Var-fanculo!