Il calcio è così. Quando a 18 anni tutti ti vedono come un potenziale fuoriclasse hai due possibilità: o sfondi e diventi davvero un campione, oppure resti lì, nel limbo. Diventi buon giocatore, uno di quelli che in una squadra che lotta per non retrocedere fa sempre i suoi 12-13 golletti, ma non sarai mai ciò che saresti potuto essere.
Questa seconda via è quella imboccata da Alberto Paloschi al bivio della sua carriera. Era l'erede di Inzaghi, destinato a segnare un decennio con la maglia del Milan, si è accontentato di fare la stella a Verona, sponda Chievo. Il bottino non è manco troppo esaltante, perché in 125 presenze in maglia gialloblù l'attaccante classe 1990 ha segnato 33 gol, pochini per un aspirante bomber.
Eppure è uno di quei giocatori che sembrano pronti ad esplodere da un momento all'altro, di quei calciatori per i quali c'è una strana consapevolezza che ti porta a dire che prima o poi arriveranno, in un modo o nell'altro.
Quest'anno Alberto ha messo a segno 8 reti, a cinque di distanza dallo score della passata stagione, in cui si fermò a 13. Per qualsiasi difesa è comunque un incubo, per la sua capacità di giocare sempre sul filo del fuorigioco e di essere letale sottoporta.
Dai una palla in mezzo all'area e Paloschi la trasformerà in un gol. Per questo sarà lui stasera l'uomo più pericoloso, ma con Diakitè avrà sicuramente pane per i suoi denti.