Quando il calcio incontra la poesia, questo sport può diventare arte. Se sei un poeta poi, e con una sterminata carriera alle spalle, i ricordi si fanno versi ed i tuoi campioni personaggi epici.
È così, che in una tiepida mattina di inizio febbraio, incontriamo Tino Petilli, cagliaritano d'adozione, attore di cinema e teatro, annunciatore per trent’anni in Rai e Voce Recitante del Teatro Lirico di Cagliari.
Lei è stato un testimone diretto della straordinaria epopea di Riva e dello scudetto. Che differenze trova rispetto al Cagliari di oggi?
“Come nell'arte, anche nello sport oggi è un po' tutto omologato. Quando c'era Gigi Riva, che ho avuto il piacere di conoscere, si giocava un altro calcio. Ho assistito al suo esordio in serie A nel '63".
Oggi come oggi attori come Tognazzi, Manfredi, Gassman e Sordi non ci sono più e lo stesso vale per i calciatori. A quei tempi i vari Riva, Mazzola, Rivera e Corso erano decisamente migliori sul piano etico rispetto a quelli di oggi”.
Per quanto riguarda il calcio in generale invece? Come giudica i protagonisti del calcio moderno?
“Adesso c'è troppo business: un Cristiano Ronaldo ad esempio, prende troppi soldi. Non siamo più nel moderno, ma nel postmoderno, ed io ne prendo atto, anche se non mi ritrovo in questi tempi. Sono affezionato al calcio di una volta, ma non voglio essere un passatista. Cerco di adattarmi al clima di oggi”.
Da più parti si sente spesso dire che fu lo scudetto del '70 a sancire il vero ingresso della Sardegna nel contesto nazionale. Lei è d'accordo con questa affermazione?
“D'accordissimo. Cagliari e la Sardegna sono stati conosciuti anche grazie allo scudetto. Negli anni '60 erano erano ancora in tanti a non sapere neanche che esistessero città come Nuoro e Oristano. I fattori che hanno spalancato la scoperta dell'isola sono stati tre: Gigi Riva, la Costa Smeralda e il banditismo”.
Lei ha conosciuto personalmente Rombo di Tuono. Il Riva privato era diverso da quello pubblico?
“Il Riva pubblico è uguale a quello privato. È un uomo di poche parole, taciturno, umile, un gran signore. Un grandissimo. Un personaggio famoso che non se la tira, come si dice oggi. È inimitabile”.
Facendo un parallelo tra calcio e poesia, un personaggio come Riva a cosa lo si potrebbe accostare nell'ambito della poesia?
“Un grande poeta triestino, Umberto Saba, scrisse una poesia per il ruolo del portiere, che secondo lui più di tutti, rappresentava il sentimento verso il calcio. Riva si potrebbe paragonare al pittore di un grande e radioso paesaggio. Un paesaggio di grandezza”.
Che augurio si sente di fare al Cagliari del centenario?
“Non sono mai stato un tifoso vero e proprio, ma il Cagliari l'ho sempre seguito. All'aspetto calcistico ho sempre preferito quello umano. Lo stesso, che ho ricercato nella mia carriera. L'augurio è quello di spingersi a fare il meglio possibile con passione, la stessa che io conservo tutt'ora, quando ogni tanto salgo ancora sul palco a recitare”.