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Dalla panchina alla panchina e quegli abbracci che commuovono

L'ascesa di Lopez fino alla guida di un Cagliari sempre più suo

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“Quei due non li ho chiesti, non l farò mai giocare”. Parola di Giampiero Ventura. Cosi il tecnico genovese ebbe a esprimersi nei confronti di Lopez e Abejon, appena arrivati dal Racing di Santander nel settembre 1998.

Detto fatto: nell'intero campionato, per Diego la miseria di ventisette minuti totali alla terza giornata contro la Sampdoria. Occhio però al risultato: un sonoro cinque a zero per il Cagliari.

Evidentemente profetico di come poi il legame fra lo stopper e il Cagliari sarebbe stato profondo e duraturo. Forse perché in lui risiedono le tipiche componenti dei sardi: schivo e riservato, dedito al lavoro e ligio al dovere. Silenziosamente, fa tutta la sua gavetta, assorbendo i segreti del mestiere da capitani doc quali Matteo Villa e Zola. E senza fiatare quando Sonetti opta per affidare “quella” fascia all'amico Abe, e poi a Suazo, che nell'ideale gerarchia gli stava dietro quanto ad “anzianità di servizio”.

Tra le sue partite “della vita”, sicuramente il 3-1 in rimonta alla Triestina nella corsa promozione 2004, con un suo gol -correggendo in rete una punizione di Zola che vale il gol del sorpasso, e il 2-2 al San Paolo contro il Napoli, con lui e Conti bomber di giornata rossoblù.

Esilio a Trieste, possibile cessione della società, perdita di una delle “colonne portanti” durante il mercato. Fino al fantasma dell'esonero che prende forma. In perfetto stile Lopez, la risposta è nel “rettangolo verde”:

Prova garibaldina a San Siro, gagliarda e cinica contro i friulani. Gli abbracci dei suoi giocatori dopo i gol e al fischio finale, commuovono e sono li a testimoniare il suo ruolo di condottiero riconosciuto.

“Anche gli allenatori molto più bravi di lui, possono fare poco in più di lui a tre mesi dalla fine del campionato”.

Cosi Vittorio Sanna ha concluso nei giorni scorsi un suo servizio. I risultati perorano questa tesi. 

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