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Il Cagliari spacca, si dividono in 970.000

Tra i tifosi della squadra rossoblu emergono due vedute di uno stesso campionato: chi festeggerà e chi, nella felicità di una promozione, avvertirà un senso di insoddisfazione

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73 punti, seconda posizione in classifica e la promozione in serie A quasi matematicamente certa. Eppure i tifosi rossoblu risultano divisi in due grandi “fazioni”. Da una parte coloro che gioiscono (incondizionatamente) del fatto che il Cagliari salirà nella massima serie dopo un solo anno di purgatorio nel campionato cadetto, dall'altra coloro che, nonostante l'obiettivo raggiunto, non sono del tutto soddisfatti per via delle ultime prestazioni incolore da parte dei sardi, come se la squadra di mister Rastelli avesse ottenuto una vittoria insapore.

Dove sta la ragione? Qual è il tifoso più "corretto"? In verità la bellezza di questo sport è quella di regalare emozioni uniche e soggettive, a prescindere dai meri risultati sportivi. Ogni supporter ha il diritto di far proprie le gioie e le tristezze, date dalle prestazioni della propria squadra, in maniera soggettiva.

Non vi è modo di giudicare se l'uno piuttosto che l'altro tifi in maniera più o meno corretta. Questo è ciò che emerge analizzando i pensieri dei tifosi rossoblu; la Lega Calcio ne attesta circa 970.000 sparsi dentro e fuori Sardegna.

Delegittimare qulcuno di gioire o meno di questo Cagliari non sarebbe corretto. Al contrario sarebbe giusto che ogni tifoso possa festeggiare la sua squadra qualora raggiunga un obiettivo così importante come una promozione e, in ugual modo, è doveroso poterla criticare nel momento in cui le prestazioni non siano esaltanti.

È altresì vero che il tifoso, in generale, è pressochè incontentabile, ma fortunatemente riconducibile, qualsiasi sia la sua veduta, sotto una stessa bandiera.

“Mi meraviglio che così tante migliaia di uomini adulti vogliano continuamente, in modo così infantile, vedere correre i cavalli e gli uomini guidare i carri.” (cit. Plinio sul tifoso)

Ad oggi sembrerà un pensiero offensivo e forse poco attinente con il calcio, ma in realtà, se analizzata, questa frase ci dice che non c'è cosa al mondo che porti l'uomo adulto a rivivere sensazioni ed emozioni genuine ed infantili, (intese come quelle vissute nella giovane età), come quelle regalate dal tifo.

 

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