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La retrocessione del Cagliari ha tanti padri

La società rossoblu ha la fetta più grande di responsabilità, ma anche l’ambiente non è esente da colpe

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Uno dei detti più conosciuti è che la vittoria ha tanti padri, mentre le sconfitte sono orfane: ciò significa che, quando c’è da festeggiare un successo, il carro del vincitore è stracolmo, mentre, in caso di fallimento di un’intrapresa, nessuno se ne assume la paternità. Nel caso specifico che ci riguarda da vicino, e cioè l’incombente retrocessione del Cagliari, riteniamo al contrario che il carro dello sconfitto dovrebbe essere preso d’assalto, perché all’insuccesso di questa stagione hanno concorso in tanti.

La fetta più grande delle responsabilità non può non essere assegnata alla società, ma sarebbe ingiusto e poco onesto far occupare il banco degli imputati solo da quest’ultima. Sia ben chiaro, riteniamo che il presidente Giulini ed i suoi collaboratori avessero il diritto e la piena legittimità di fare le scelte da essi ritenute più opportune per far decollare il loro piano gestionale. Noi avremmo fatto scelte diverse, prima tra tutte quella sul tecnico, ma comprendemmo la ratio di quella decisione: marcare un netta diversità rispetto alla gestione societaria precedente e, soprattutto, riportare nella tifoseria l’entusiasmo perduto.

L’operazione funzionò, se è vero che il 4 agosto 2014 all’arena S.Elia c’erano oltre 10 mila tifosi festanti; ed erano lì soprattutto per Zeman, forse solo per Zeman. Il tempo ed il campo, purtroppo, si sarebbero poi incaricati di mettere ben presto in discussione la bontà tecnica del Progetto. Siamo certi che nell’animo del presidente Giulini i dubbi sulla conduzione tecnica abbiano cominciato a serpeggiare ben prima dell’esonero avvenuto sotto Natale, ma quanto è stato aiutato da altri attori a fare le scelte giuste? Qui entrano in ballo altri soggetti che hanno titolo a salire sul carro dello sconfitto.

In primis, lo stesso tecnico boemo. Nutriamo grande ammirazione per l’uomo, ma sulla sua filosofia calcistica abbiamo da sempre nutrito forti dubbi ben prima che approdasse su questi lidi. Non possiamo e non vogliamo fare una dissertazione sui modi di intendere il calcio – ogni allenatore ed ogni amante di questo hanno il proprio, tutti degni di rispetto – ma è un dato di fatto che Zeman dapprima non è riuscito a farsi mettere a disposizione una rosa del tutto coerente con il suo credo (al di là delle dichiarazioni ufficiali), poi non ha saputo invertire la rotta nel momento in cui si avvertivano i primi scricchiolii della barca.

L’alibi delle tante occasioni da rete fallite è diventato sempre più fragile, poi stucchevole, evidenziando un enorme difetto della squadra e non un pregio come invece si voleva rappresentare. Nel frattempo, si imbarcavano gol a raffica. Poiché siamo convinti che i giocatori siano i meno colpevoli di tutto ciò che si è verificato (attenzione, abbiamo detto meno colpevoli, non meritevoli di assoluzione), riteniamo che sull’infausto esito di questa stagione abbia inciso non poco la vulgata secondo la quale il cosiddetto Progetto zemaniano andasse sostenuto a prescindere, cioè indipendentemente dai risultati.

L’importante era l’Idea, il Sogno, lo Spettacolo, giocare per vincere in ogni campo, il mondo dei balocchi, la fantasia al potere in una piazza abituata a nutrirsi da sempre solo con pane e salame. Questa posizione è stata pervicacemente sostenuta da diversi commentatori al punto da diffondersi come una macchia d’olio in gran parte della tifoseria, convinta che fosse arrivato il momento di dire basta a quelle salvezze conquistate a gennaio, così insipide e noiose (diceva qualcuno, non certo chi scrive). Noi ovviamente rispettiamo le opinioni di tutti, perché le idee, i sogni, la fantasia liberata da ogni vincolo sono tutte cose bellissime.

Ma quando tutto ciò si trasforma in ideologia, in furia purificatrice che pretende di convertire i miscredenti e gli apostati, in tirannia di un credo – il Credo – su tutti gli altri, inevitabile giunge la catastrofe. Gran parte dell’opinione pubblica di fede rossoblu ha voluto inebriarsi con l’Idea, un nettare dolce, accattivante, eccitante persino, perché ti faceva avvicinare alle partite con quell’ansia che segnalava la fame di un Evento, di una Sorpresa, di un regalo agognato ed inatteso: non la vittoria, ma la Vittoria con il condimento dello spettacolo e dei gol a grappoli.

Quasi tutti infatuati dall’Idea a tal punto da esporre striscioni davanti alla sede sociale per richiamarLa subito in servizio quando ne fu deciso l’accantonamento. Fatti mai accaduti a Cagliari. Non ci si voleva arrendere all’evidenza, non si voleva accettare la realtà di seme non aveva attecchito e che non poteva portare frutto.

A parte rare e brevi occasioni in cui il Sogno pareva essere divenuto materia tangibile, sappiamo come è andata e come sta finendo. E’ un vero peccato, davvero, perché con un maggior senso della realtà, con quella concretezza e praticità che pure caratterizza noi sardi, insomma con poco, ci saremmo salvati in un campionato mai così mediocre e con pochissime squadre di un certo livello.

La società ha le sue colpe, lo sa, lo ha onestamente ammesso e farà le opportune valutazioni. Ma, siamo onesti, in questa disgraziata stagione ci abbiamo messo lo zampino in tanti.

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