Due romani che hanno guidato il Cagliari vengono in mente all’istante: fin troppo facile citare Ranieri e Mazzone. E anche il rettangolo verde è stato florido di imprese compiute da chi è cresciuto di fronte al Colosseo: Muzzi e Tovalieri, Berretta e Cavezzi, Cappioli. Fino ad arrivare all’odierno Conti. C’è però un nome che non merita di finire nell’oblio: Paolo Carosi. Per lui una sola stagione sulla panchina del Cagliari. Apparentemente, potrebbe sembrare senza squilli né stecche, in quanto gli almanacchi parlano di un anonimo dodicesimo posto in Serie A.
Trentadue anni dopo, però, il tempo rivalutato quella annata, nella quale il Cagliari disputa un onorevole campionato. Il calendario riserva un avvio di fuoco agli isolani nelle prime cinque giornate: fare visita al Bologna, alla Roma di Falcao e Pruzzo, e alla Juventus dei sei Campioni del Mondo “in pectore”, inframezzate dall’ospitare il Napoli e l’Inter. Il banco di prova è subito di quelli tosti: arrivano due pareggi al Dall’Ara e di fronte ai partenopei. Gigi Piras si toglie lo sfizio di violare l’Olimpico giallorosso (Sau&Pisano, da Sardi, lo emuleranno trentuno anni dopo), ma Falcao soverchia il punteggio con una doppietta. Il solito selargino fa trmare l’Inter e solo a 20’ dal termine raddrizza Beccalossi, mentre in casa della Vecchia Signora la porta rossoblù regge fino al novantesimo, quando la zampata di Bettega consegna la vittoria ai bianconeri.
Il capolavoro di Carosi è datato 14 febbraio 1982: sonoro 1-3 nella San Siro nerazzura, identico a quello del torneo col tricolore cucito sul petto. Oltre che notoriamente a Nils Liedholm, l’appellativo di “Barone” era stato in precedenza attribuito anche a Carosi.