Nel calcio moderno che ci stiamo abituando a conoscere, in continua evoluzione tecnica e tattica, non c’è più spazio per giocatori “monouso”, inteso come capacità di svolgere un solo compito nell’arco di una partita. Non è più possibile chiedere a un difensore solamente di coprire, così come un centrocampista o un attaccante non possono ormai rinunciare deliberatamente ad una delle due fasi di gioco, ad avere appunto una "doppia dimensione".
Il calcio è uno sport di squadra e come tale va analizzato spostando l’attenzione dal singolo al collettivo, ben più importante ai fini del risultato. In questo senso, ci sono diversi aspetti che le due partite giocate fin qui in campionato dal Cagliari possono evidenziare agli occhi dei più attenti. Nella difficile serata di Empoli ad esempio si vide ben poco dei principi che notoriamente rendono undici calciatori un’unica entità: anzi, ciò che trasparì fu confusione nei fraseggi e fra le linee, reparti continuamente slegati e poche idee in fase di costruzione. L’epilogo fu solo la naturale conseguenza della brutta prestazione offerta dai rossoblù che però, essendo alla prima uscita, avevano delle attenuanti.
La settimana dopo, contro il Sassuolo, tutto è cambiato. Il Cagliari, carico e voglioso di rivalsa, è sceso in campo concentrato e con ben chiaro in mente un piano partita che gli ha permesso di imporre il proprio gioco ai neroverdi. L’idea di Maran (riuscita per buoni tratti alla perfezione) era quella di proporre una squadra compatta, corta, che potesse recuperare celermente il pallone in difesa per poi trasmetterlo al centrocampo e ripartire a tutta velocità in contropiede, dando sfogo alla manovra sulle corsie esterne dove agivano a turno Padoin e Srna.
Per far ciò il tecnico ex Chievo ha dovuto chiedere tanta disponibilità ai propri giocatori, soprattutto in termini di applicazione difensiva, i quali lo hanno prontamente ripagato: da Pavoletti a Barella, da Sau a Ionita - senza dimenticare i già citati Srna e Padoin - tutti si sono prodigati per portare a casa i tre punti, poi sfumati a una manciata di secondi dalla fine.
Con chiarezza e organizzazione, a dimostrazione della bontà del ragionamento promosso in avvio, sono venute fuori anche le qualità dei singoli: la retroguardia (nonostante i due gol incassati) ha fatto registrare dei miglioramenti rispetto al match del Castellani che sono stati frutto di un maggiore aiuto da parte di tutti i compagni. Il centrocampo è apparso più dinamico e capace di raccordare efficacemente attacco e difesa, in primo luogo nella figura di Nicolò Barella. Infine la bocca da fuoco Pavoletti (uno dei migliori attaccanti d’Europa nel gioco aereo), sfruttando anche il “lavoro sporco” di Marco Sau, è andata a nozze con i cross dei terzini ex Juventus e Shakhtar risultando letteralmente immarcabile in più di un’occasione.
Riassumendo il tutto è facile comprendere come nello sport moderno, che non è una scienza esatta, basti poco a cambiare il volto di una formazione, anche una copertura in più o un raddoppio in meno possono fare la differenza fra una vittoria e una sconfitta. Un concetto però rimane saldo e inossidabile fin dall'alba dei tempi: in una squadra di calcio bisogna agire seguendo logiche collettive, nessuno è mai riuscito a vincere le partite da solo e probabilmente nessuno ci riuscirà mai.