Poi un giorno ti guardi allo specchio e non sai più chi sei. Non sai bene perché, sarà che il tempo passa, la vecchiaia lontana si avvicina a passi lenti ma inesorabili, le rughe incalzano, i capelli si diradano e del vecchio te resta solo quello sguardo, solo più confuso e malinconico.
Quello sguardo che per anni ha risposto alla sequenza 4-3-1-2, un rombo difensivo e abile nel contropiede sempre uguale a sé stesso nel corso delle stagioni. Cambiavano i nomi, gli allenatori e persino gli stadi, ma il Cagliari diceva ogni anno trentatré con lo stesso identico tono di voce.
Poi la svolta, coi cambiamenti che aumentano. Cambiamo anche stemma, cambiamo presidente. E perché no, cambiamo anche il nostro modo di giocare. Tre punte di boemiana memoria, lanciamoci avanti e proviamo a buttarla dentro prima che lo facciano gli avversari. Poche volte, troppe poche volte. Torniamo al passato, torniamo al mitico rombo.
Ma il vento del cambiamento è già partito e non lo si può fermare, e da anni ormai il Cagliari non ha una chiara idea di gioco. Essere o non essere e senza teschio amletico, perché i sardi a volte vanno all'arrembaggio e a volte fanno fortino, a volte giocano a quattro dietro, altre a tre e pure a cinque. In avanti si cambia, si modifica, si toglie il trequartista e lo si rimette come una giacca d'estate, si gioca col tridente o con la punta isolata.
Si stravolge, si cambia. O forse si invecchia soltanto. Chi sia il Cagliari, oggi lo sanno davvero in pochi.

