Questione di isole, l'Islanda come il Cagliari di Riva: abbandonati e vincenti

323000 abitanti e un quarto di finale da giocare, è il capolavoro di Gunnarsson e compagni

Luca Neri
28/06/2016
Approfondimenti
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Quando non esiste la logica. Quando la normalità si fa da parte, quando la realtà si fonde col sogno. Il mondo capovolto.
Sono solo minuscoli equilibri fisici, miliardi di campi di forza uniti tra loro che regolano l'incedere del tempo, della vita, cosicché tutto va come deve andare.

Solo che a volte qualcosa non va come deve andare, a volte Davide batte Golia, e a volte succede anche che 323000 anime si accendano, gonfino il petto, e con un brivido lungo tutta la schiena, con gli occhi sognanti e la voce ormai andata via sostengano una squadra, trascinandola sino ai Quarti di finale di un europeo.

È la favola dell'Islanda, che senza la ragione e con la forza di chi crede nei miracoli, da stanotte è nel G8 calcistico, eseguendo il Brexit senza referendum. È la notte di chi crede nei sogni, di chi sostiene che l'irrealizzabile possa accadere. È la notte di un popolo che ha svuotato una terra per invadere la Francia e sostenere una squadra, di una nazione troppo spesso dimenticata, che sta trovando nel calcio la via di fuga al tunnel dell'alcol in cui vengono risucchiati tanti, troppi giovani Islandesi. È il trionfo di un'isola distante quasi duemila chilometri dall'Europa, ma da stanotte meno lontana.

Una nazione in cui sino al 2002 erano presenti appena cinque campi da calcio ad undici e appena nove totali, che ha puntato forte sul calcio come momento di riscatto sociale e che tra soli 323000 abitanti ne ha trovati 23 in grado di arrivare ai Quarti di Finale di un Europeo. E ne ha trovati 31000 che son volati in Francia a sostenere i magnifici ventitré, a cantare, gioire e sognare con loro.

Come non trovare analogie col nostro Cagliari, che nel 1970 comunicò all'Italia di esistere issandosi in cima al Belpaese, come non trovarle con la nostra piccola Sardegna, poco popolata e spesso abbandonata, che mai come in quel 12 aprile fu vicina allo stivale.

E chissà che un giorno anche la Sardegna possa avere la sua nazionale, chissà che un giorno i quattro mori non possano sventolare come la bandiera islandese.

Del resto sognare non costa nulla, Gunnarsson e compagni lo sanno bene. Anche perché sognando, capita anche di riscrivere la storia. Salvo poi scoprire che è tutto vero. Tutto meravigliosamente vero.

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