È il curioso caso di Marco Sau, per dirlo alla David Fincher. O ancora, c’era una volta Marco Sau, quel bomber implacabile sotto porta, brevilineo, imprendibile in velocità, quel nanetto terribile che aveva fatto passare i peggiori incubi alle difese della serie A e fatto sognare i tifosi sardi.
Ma non solo loro, perché Pattolino era diventato un idolo anche nel resto della penisola, forse per il suo trascorso nelle serie minori, forse per i suoi dribbling e il suo sorriso, ma Marco piaceva. Poi gli infortuni, a partire dall’anno scorso, e poi quelli di quest’anno, che l’hanno tormentato sino a renderlo lontano, troppo lontano, dalla migliore condizione.
Sau non ha praticamente mai raggiunto la forma ideale, ed appare come l’ombra del giocatore che è stato (e che probabilmente è). Proprio nell’editoriale successivo alla clamorosa vittoria di Modena, in cui Sau firmò il gol-vittoria allo scadere, ci sbilanciammo scommettendo su una sua rinascita a partire da quel sigillo.
Una rinascita che, dati e prestazioni alla mano, ancora non si è realizzata. Eppure i piedi son sempre quelli, fatati. Il cervello è sempre lo stesso, quello di un ragazzo d’oro col dono del pallone.
Forse Marco è sempre lo stesso, solo con qualche certezza in meno.
Ma le certezze si recuperano col tempo, dopo la prima giocata riuscita a cui segue la seconda. Dopo il prossimo gol, la prossima esultanza. E allora io credo ancora nella sua "resurrezione".
Perché quel gol a Modena non è arrivato per caso. E non è stato l’ultimo.