Il calcio è fondamentalmente uno sport democratico. Tutti arrivano alla stesso identico check-point nello stesso preciso istante. La sottile ma grande differenza è come ci si arriva, vuoi a livello di punti, vuoi a livello di energie, vuoi persino l'inerzia presa: è così che le tifoserie di due squadre, con gli stessi punti e le stesse ambizioni, si possono trovare con umori differenti a seconda del fatto che le ultime gare siano andate più o meno bene.
La fine del girone d'andata, in ogni caso, è sempre un buon momento per voltarsi indietro per un attimo, appena prima di riprendere la marcia. Il Cagliari sta vivendo un'annata senza infamia e senza lode, con punteggi (step by step) tutto sommato non dissimili da quelli delle precedenti gestioni. Prendiamo un Massimo Rastelli a caso: col tecnico campano i sardi avevano avuto un rendimento complessivo almeno pari a quello di stampo Maraniano, almeno a livello di risultati. Ciononostante lo status dei supporters rossoblù risultava ben diverso: non c'era giorno in cui non venisse chiesta la testa dell'allenatore, col celeberrimo hashtag #rastellivattene a prendersi la scena.
Quest'anno si respira un'aria diversa, con una tifoseria ben più tollerante nonostante, a conti fatti, i risultati siano gli stessi. La grossa differenza nell'assorbire le sconfitte, probabilmente, risiedeva nella diversa portata delle stesse. Quest'anno il Cagliari non perde mai quattro o cinque a zero, sebbene i punti siano sempre zero.
È anche vero che negli ultimi tempi qualcosina sta cambiando (in peggio), con i primi mugugni e le prime facce storte, gli albori dei reazionari del partito mangiapanchine e di quello del calciomercato vendi e compra come se non ci fosse un domani. Tutto sommato a questa squadra non manca niente per essere tutto ciò di cui ha bisogno, coi suoi venti punti che sono un inno alla pragmaticità. Il problema, casomai, è che al Cagliari manca tanto per essere ciò di cui si avrebbe bisogno: da troppo tempo nell'isola si aspetta la stagione da mani nei capelli, di quelle che odorano di impresa con retrogusto europeo.
Sono anni che in Sardegna si fa da spettatori non paganti ai miracoli stagionali, che si chiamino Atalanta, Sassuolo o Udinese. Quest'anno, tra un Barella ed un Cragno in piena maturazione, tra un Pavoletti all'apice e un ritrovato Joao Pedro, qualcuno forse accarezzava l'idea che toccasse al Cagliari. Guardando indietro, con uno sguardo davanti, forse la sensazione è che anche stavolta si salti un giro.