Cagliari, ecco le promesse non mantenute e quelle da mantenere

L'analisi della stagione rossoblù

Luca Neri
21/05/2018
L'Editoriale
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Il sole illumina ma se ci si avvicina troppo brucia. La notte affascina ma se non si illumina si sbatte. C’è chi quasi gradisce star lontano dalla luce, tra ombre e muschi, c’è chi è così abituato a camminare nel buio da far fatica a riabbracciare il sole.

Questo Cagliari, questo piccolo, incoerente, fragile, grande Cagliari, si era ritrovato nelle tenebre quasi alla sprovvista. Uscito di casa per una passeggiata sotto il sole, si era perso in una grotta trovandoci un habitat quasi naturale. Ne è uscito di istinto, di intuito, con l’esperienza e la rabbia, sicuramente senza seguire una cartina, una logica.

Oggi i rossoblù son salvi e questa è, senza dubbio, la notizia più bella del 2018.

Tuttavia questa salvezza conquistata coi denti non può sotterrare a cuor leggero un’annata che poteva diventare sportivamente drammatica. I presupposti erano ben altri, e questo è innegabile. Una squadra che si prefigga una programmazione pluriennali con obiettivi di lunga durata deve potere (e sapere) alzare l’asticella di anno in anno, utilizzando fosforo e risorse che non possono banalizzarsi nella stretta logica delle disponibilità economiche. La forte impressione è che la progettualità sia stata messa troppo spesso o troppo presto da parte (probabilmente inconsciamente), per lasciare spazio alla frettolosa ideologia della vita alla giornata.

Il ricorso a tappabuchi provvisori e soluzioni last minute ha caratterizzato la stagione dei sardi sin dalla campagna acquisti, quando l’immobilismo estivo è stato “rimediato” dal nome grosso dell’ultima ora, tra Van der Wiel e Pavoletti. Il (forse) principale responsabile di un calciomercato poco convincente è stato ben presto individuato nel volto di Giovanni Rossi, silurato però ben più tardi di quando sarebbe stato razionale farlo, quando la situazione stava diventando più che preoccupante e qualche testa doveva saltare.

Al suo posto Marcello Carli, una figura di elevatissimo spessore che ha evidentemente saputo toccare le corde giuste all’interno del club, tra squadra, allenatore e piani alti. Ciò che si può affermare con assoluta tranquillità è che l’ex Empoli sia il nome su cui puntare il proprio dollaro per il nuovo corso rossoblù. Alzare l’asticella significherà inevitabilmente lavorare sull’organico a disposizione del tecnico Lopez (o chi per lui), cercando di mantenere l’asse portante e innestarlo di tre-quattro elementi di qualità: non sarà necessari a nessuna rivoluzione, i pilastri ci sono e son solidi, bisognerà lavorare sui pochi ma grossi punti deboli. L’esigenza primaria è una seconda punta vera da affiancare a Pavoletti, un dieci che salti l’uomo e inventi la giocata, spezzando la monotonia del gioco rossoblù. Sarà anche importante rimpolpare il centrocampo e tirar fuori almeno due laterali di ruolo.

Poi si ripartirà (speriamo) dalle certezze, dalla crescita dei Barella, Cragno, Romagna, Ceppitelli, Han, che dovranno rendere meno traumatica l’inevitabile parabola discendente dei Sau, Dessena, Padoin e compagnia.

I presupposti c’erano e ci sono. Serve cancellare quei viziacci di tamponare le ferite anziché medicarle, di coprire la macchia anziché lavarla, di star tanto lontani dal sole da non vederlo, di scegliere il buio alla naturale e semplice luminosità di una giornata serena.

Intanto il Cagliari è salvo, e ci si può cullare comodamente per un po’ su questa morbida consapevolezza.

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